Commentando la decisione della Corte Costituzionale sull’Italicum, il capogruppo Pd alla Camera Ettore Rosato ha dichiarato il 25 gennaio: “È una sentenza che ci restituisce una legge in grado di farci votare subito, in due modalità diverse tra Camera e Senato, ma sostanzialmente uniformi. Cosa non nuova nel nostro Paese, dove da sempre si vota con due leggi diverse, sia per platea degli elettori che per modalità”.
Scomponiamo l’affermazione di Rosato per valutarla.
In primo luogo: è vero che la sentenza della Consulta abbia restituito una legge in grado di portare subito, volendo, il Paese alle urne?
Sì, è vero. Come si legge nel comunicato stampa della stessa Corte Costituzionale, “all’esito della sentenza, la legge elettorale è suscettibile di immediata applicazione”.
Secondo: è vero che si vota con modalità diverse ma sostanzialmente uniformi tra Camera e Senato?
Questo punto è più controverso. È vero che per ambedue i rami del Parlamento è ora in vigore una legge di tipo proporzionale e non maggioritario, il che si può sostenere renda le due modalità di voto in qualche modo uniformi. Ma le differenze restano importanti.
La più macroscopica è la presenza di un premio di maggioranza alla Camera (340 deputati su 630, cioè del 54% dell’assemblea di Montecitorio) per il partito che eventualmente superi la soglia del 40%, e la sua assenza in Senato.
In concreto significa che se il partito X prendesse il 45% dei voti su base nazionale avrebbe la maggioranza alla Camera ma probabilmente non al Senato. Qui infatti vige il Consultellum, cioè il Porcellum come modificato dalla sentenza della Consulta del 4 dicembre 2013: un proporzionale senza premi di maggioranza che funziona su base regionale.
Da due sistemi diversi rischiano di nascere comportamenti difformi delle forze politiche. Queste infatti saranno incentivate a coalizzarsi al Senato per avere una maggioranza, ma invece ad andare da sole alla Camera. Nella speranza di raggiungere la soglia del 40%, infatti, al singolo partito conviene cercare la massima visibilità a discapito dei potenziali alleati.
Le soglie di sbarramento poi, sopravvissute “alte” al Senato dal Porcellum e invece basse (3%) con l’Italicum alla Camera, tenderanno a incentivare comportamenti diversi anche da parte delle forze politiche medie e minori. Ci torneremo tra poco.
Terzo: è vero che nel nostro Paese non sia cosa nuova votare con leggi diverse “sia per platea degli elettori che per modalità”?
Sulla diversità di platea degli elettori non ci sono dubbi. Fin dalla prima elezione della Repubblica italiana, nell’aprile del 18 aprile 1948, per la Camera hanno votato i maggiorenni (21 anni o più dal 1948 al 1975, successivamente 18) mentre per il Senato solo chi avesse già compiuto 25 anni.
Sulle modalità, la questione è più complessa, e bisogna ripercorrere le leggi precedenti. In teoria con la legge elettorale della Prima Repubblica la Camera aveva un sistema proporzionale quasi puro, mentre il Senato ne aveva in teoria uno maggioritario. Ma nei fatti la legge elettorale prevedeva che il senatore venisse eletto nel suo collegio uninominale solo se prendeva più del 65% dei voti, rendendo quasi impossibile questa eventualità.
Nel 1948 furono eletti così 15 senatori, e nelle successive elezioni solo pochissimi – talvolta uno solo – dei candidati raggiunse tale quorum. Mancato il quorum del 65%, quindi nella stragrande maggioranza dei seggi, scattava un metodo di ripartizione proporzionale dei voti anche al Senato.
Con riferimento alla Prima Repubblica, si può dire che Rosato abbia dunque più torto che ragione: le differenze nelle modalità di elezione tra Camera e Senato per oltre quarant’anni sono state minime.
Interessante citare l’esperimento del 1953, quello della cosiddetta “legge truffa”, perché creava un sistema in qualche modo simile a quello che è ora in vigore dopo la sentenza della Consulta. Con quel sistema, infatti, la coalizione che avesse superato il 50%+1 dei voti avrebbe ottenuto, alla sola Camera, un premio di maggioranza del 65% dei deputati.
La coalizione guidata dalla Dc tuttavia si fermò quell’anno al 49,8% e il premio non venne assegnato. Già nel 1954 la “legge truffa” venne abrogata.
Con la Seconda Repubblica venne introdotto, nel 1993, il Mattarellum, un sistema maggioritario ibrido. I tre quarti dei deputati e dei senatori venivano eletti con un sistema maggioritario a turno unico. Nella distribuzione del quarto restante c’erano le maggiori differenze tra Camera e Senato: per Palazzo Madama valeva infatti il meccanismo dello “scorporo”, che consentiva un recupero proporzionale dei non eletti più votati. Per Montecitorio invece funzionava un proporzionale con liste bloccate.
Infine il Porcellum, varato dal governo Berlusconi nel 2005. Qui le maggiori differenze tra Camera e Senato risiedevano in primo luogo nelle diverse soglie di sbarramento: alla Camera 4% per il partito e 10% per la coalizione (2% per i partiti membri di coalizioni che avessero passato lo sbarramento alla Camera); al Senato invece lo sbarramento era all’8% per il partito, al 20% per la coalizione (3% per i partiti membri di coalizioni che avessero passato lo sbarramento al Senato).
Le soglie relative ai senatori sono sopravvissute alla sentenza della Consulta del 2013 e sono tutt’ora in vigore. C’era poi un’altra differenza, riguardo al premio di maggioranza: alla Camera questo veniva attribuito su base nazionale, mentre al Senato Regione per Regione.
Dunque Rosato ha ragione quando dice che “da sempre si vota con due leggi diverse”, anche se la differenza attuale sembra superiore a quelle viste in passato. Anche nel caso della “legge truffa”, che pare l’esempio più vicino, va notato come il premio di maggioranza allora riguardasse la coalizione (e non il partito) e che avesse già una maggioranza dei voti (e non il 40%).(AGI)