Maria Elena Boschi è tornata in Tv, per la prima volta dopo la sconfitta del referendum costituzionale, il 7 marzo, ospite di Porta a Porta. L’ex ministro per le Riforme e attuale sottosegretario alla Presidenza del Consiglio ha parlato della questione giudiziaria che la tocca più da vicino – l’inchiesta su Banca Etruria – e ha dichiarato:
“Nessuno ha dato grande risalto alla notizia che mio padre è fuori da quell’inchiesta per bancarotta fraudolenta. Questo è un dato che non è stato molto sottolineato da giornali e telegiornali che invece prima avevano tenuto la vicenda in apertura”.
La notizia del coinvolgimento del padre dell’allora ministro, Pierluigi Boschi, nelle indagini su Banca Etruria risale a marzo 2016. Allora fu indagato, insieme agli altri membri del Cda della banca Lorenzo Rosi e Alfredo Berni, per bancarotta fraudolenta.
È vero che la vicenda ebbe grande risalto sui media. I quotidiani del 20 e del 21 marzo 2016 avevano spesso un richiamo in prima pagina ad articoli e approfondimenti riguardanti l’inchiesta, contenuti nelle pagine interne.
A distanza di circa nove mesi, il 16 dicembre 2016, si chiuse il primo troncone dell’inchiesta su Banca Etruria, con 22 avvisi di conclusione indagini notificati dalla Procura di Arezzo ad altrettanti ex consiglieri di Banca Etruria. Tra questi non compariva Pierluigi Boschi.
Questa notizia non ha avuto richiami sulle prime pagine dei quotidiani del 17 e del 18 dicembre.
Se è vero che le indagini non sono ancora concluse e che non si può escludere che in futuro il padre della Boschi possa essere nuovamente coinvolto dalle inchieste, è altrettanto vero quanto sostiene l’ex ministro delle Riforme: al momento ne è fuori, e ci fu sproporzione tra il rilievo dato dai media all’avvio delle indagini e quello riservato all’esclusione del padre dall’inchiesta.
Sempre sul tema giustizia, la Boschi ha poi detto: “Noi abbiamo sempre difeso Virginia Raggi, anche quando è stata coinvolta in alcune inchieste abbiamo sempre sostenuto che dovesse continuare nel proprio lavoro e che dovessero essere poi i giudici ad accertare eventualmente le responsabilità”.
Il sottosegretario Boschi sembra fare riferimento in particolare alla presa di posizione di Matteo Renzi del 24 gennaio 2017, quando il sindaco di Roma ricevette un avviso di garanzia. In quell’occasione Renzi scrisse su Facebook: “Oggi il Sindaco di Roma ha ricevuto un avviso di garanzia. La nostra Costituzione prevede che tutti i cittadini siano innocenti fino a sentenza passata in giudicato. E questo vale per tutti, a qualunque partito appartengano. Invito dunque tutto il PD a rispettare la presunzione di innocenza e non rincorrere le polemiche”.
Sulla vicenda Consip, infine, il sottosegretario Boschi ha affermato: “Mi sembrerebbe strano se gli scissionisti votassero la sfiducia a Lotti quando noi abbiamo difeso Errani, non semplicemente raggiunto da avviso di garanzia ma processato. Noi abbiamo tenuto sempre una linea garantista, è singolare che quella linea che loro avevano per Errani o per altri non ce l’abbiano per Lotti”.
La Boschi fa riferimento alle dichiarazioni di alcuni esponenti scissionisti del Pd che parrebbero tentati dal votare la sfiducia al ministro Lotti. Il precedente che viene citato è quello del processo contro Vasco Errani, presidente della Regione Emilia-Romagna tra il 1999 e il 2014 e commissario straordinario per l’emergenza terremoto dal 2016. Bersaniano da sempre ma stimato anche da Renzi, che appunto lo nominò commissario, Errani ha lasciato il Pd a fine febbraio scorso.
Il processo a cui fa riferimento la Boschi lo vedeva accusato di “falso ideologico”. La vicenda nasceva da un finanziamento regionale del 2006 da un milione di euro, concesso dalla Regione alla cooperativa Terremerse guidata dal fratello del governatore, Giovanni Errani. Per far luce sulla regolarità di tale finanziamento nel 2009 Vasco Errani chiese a due funzionari della Regione, Terzini e Mazzotti, di redigere una relazione ad hoc. Errani lesse il documento all’assemblea regionale, e fu inviato anche alla procura. Secondo l’accusa all’interno della relazione, su istigazione di Vasco Errani, erano state inserite delle informazioni dal “contenuto volutamente omissivo e fuorviante”.
In primo grado, nel 2012, Errani fu assolto. Nel 2014 in appello venne invece condannato e si dimise quindi subito dalla carica di presidente della Regione. La Cassazione tuttavia nel 2015 annullò la condanna e rinviò nuovamente la causa in corte d’Appello. Qui, nel 2016, fu invece confermata l’assoluzione di primo grado (anche per Terzini e Mazzotti) e la vicenda si concluse.
Durante l’intera vicenda il Pd ha sempre mantenuto una linea garantista nei confronti di Errani. Renzi, dopo le dimissioni da presidente della Regione, difese Errani dagli attacchi della stampa. Anche prima delle dimissioni Errani poté sempre contare sul sostegno del suo partito.
La Boschi sembra dunque avere ragione quando lamenta un diverso atteggiamento, anche se è difficile mantenere il paragone tra un soggetto indagato e uno sotto processo, uno che rifiuta di dimettersi per delle indagini e uno che si dimette per una condanna (che pure poi verrà ribaltata).
In chiusura vale la pena ricordare come anche Renzi, che sulle questioni citate dalla Boschi ha in effetti dato prova di solido garantismo, avesse in passato tenuto atteggiamenti diversi su vicende giudiziarie. Ad esempio quando, ancora da leader della minoranza Pd, sostenne le dimissioni dell’allora ministro Cancellieri per una vicenda che non la vedeva all’epoca neppure indagata.(AGI)