Quella fideiussione da quasi dieci milioni di euro al geometra delle ville caraibiche, professionista che in passato fu prosciolto per prescrizione dall'accusa di falso in bilancio. Il dubbio è che le imprese per cui lavora siano più vicine a Berlusconi di quanto attestino gli atti ufficiali
{mosimage}MILANO – A garantire i prestiti in genere sono i genitori, quando vanno in banca a mettere la loro firma per il mutuo dei figli. Oppure gli imprenditori quando le banche chiedono loro una fideiussione per i finanziamenti alle imprese di famiglia in difficoltà o a quelle appena lanciate. Ora dato per scontato che Piergiorgio Rivolta non è figlio di Silvio Berlusconi, non si capisce come mai il premier si sia preso la briga di sottoscrivergli una garanzia di quasi 10 milioni di euro.
Il dubbio è che le imprese in cui lavora Rivolta siano più vicine a Berlusconi di quanto attestino gli atti ufficiali. Una di queste in particolare, la Siti srl, spicca su tutte per il suo rapporto con la Flat Point, la scatola offshore che gestisce la costruzione del Resort di Antigua, alla quale Berlusconi ha versato 22 milioni di euro per diventare titolare di un paio di terreni. Senza questo legame con la Flat Point è infatti difficile capire come Berlusconi abbia potuto mettere la sua firma per garantire il geometra Rivolta, un professionista il cui passato imprenditoriale non è certo dei più rosei.
I suoi guai risalgono agli anni Novanta, quando a capo della Imprenori, una azienda di costruzioni, lui e il socio Felice Nosotti vanno in fallimento, conoscono il carcere e finiscono sotto processo. Nella ricostruzione dell'accusa, i due vengono disegnati come due veri e propri falsari di bilanci, ma soprattutto di contratti e fatture, una straordinaria quantità di cartaccia che viene consegnata in banca solo per ottenere finanziamenti.
Nel rutilante giro di Rivolta e Nosotti finiscono una dopo l'altra la Banca Commerciale Italiana e la Comit Factoring, il Banco di Napoli, la Popolare di Asolo e Montebelluna, la Cassa di risparmio di Piacenza e Vigevano e la Popolare di Abbiategrasso. Loro ne escono bene, perché nella sentenza depositata il 29 settembre 2003 dalla seconda sezione penale di Milano si legge che sono stati prosciolti "per intervenuta prescrizione del reato in relazione a tutte le condotte di falso in bilancio" e per "intervenuta depenalizzazione" delle false comunicazioni sociali a seguito dell'entrata in vigore nel 2002 della nuova legge fallimentare voluta dall'allora governo Berlusconi.