{mosimage}Con Cristina Kirchner sono cinque i presidenti del continente sudamericano colpiti dal cancro
La saggezza popolare direbbe che “una coincidenza è una coincidenza, due coincidenze sono un indizio e tre coincidenze sono una prova”. Dopo l’intervento alla tiroide di Cristina Kirchner, sono ben cinque i Presidenti della Repubblica sudamericani che negli ultimi tre anni hanno affrontato la dura malattia del cancro e le sue altrettanto dure cure per debellarlo.
Nel 2009 fu proprio Dilma Rousseff, a pochi mesi dall’inizio della campagna elettorale brasiliana, a scoprire a seguito di un controllo di routine un cancro al sistema linfatico; dopo le necessarie sessioni di chemioterapia, il cancro di Dilma fu debellato, anche se ancora oggi la Presidente brasiliana continua a sottoporsi a ferrei controlli di routine. Il secondo presidente attaccato dalla “malattia del secolo” (così veniva definito il cancro nella seconda metà del secolo scorso in Europa) è stato Fernando Lugo. Anche il Presidente del Paraguay, come Dilma, è riuscito a sconfiggere la malattia; in assenza di strutture sanitarie adeguate nel suo Paese, Lugo si è recato più di una volta a San Paolo per sottoporsi a controlli e cure specializzate. Nel 2011 tutto il mondo fu sorpreso prima dalla mancanza di notizie e poi dall’annuncio fatto dallo stesso Presidente Chavez della grave malattia che lo aveva costretto a curarsi a Cuba; il cancro del Presidente venezuelano è tutt’ora quello circondato dal maggiore mistero, anche a causa delle possibili interferenze con le prossime elezioni presidenziali, previste per quest’anno. Un altro leader latino-americano mondialmente conosciuto, Luiz Inacio Lula da Silva, ha scatenato in Brasile e nel resto del mondo un’ondata di forte emozione e preoccupazione per la sua salute all’indomani della notizia del cancro alla laringe che lo ha colpito.
Di fronte a una tale successione di fatti – cinque presidenti della Repubblica dello stesso continente colpiti dalla stessa grave malattia nell’arco di soli tre anni – è impossibile non provare a sviluppare una riflessione nel tentativo di individuare un filo logico tra quanto è successo ai leader di questi grandi Paesi.
Due sono le considerazioni che vorrei sottoporre alla vostra attenzione.
La prima è inevitabilmente legata al tema del potere: ogni qualvolta un potente viene colpito da una grave malattia si ripropone il tema della fragilità umana, dell’impotenza dell’uomo (di tutti gli uomini) di fronte alla malattia o alla morte. Una riflessione antica ma sempre attuale, un monito permanente per tutti gli uomini e in particolare per quanti esercitano ruoli di primaria importanza politica; il potere a volte dà la pericolosa sensazione di essere eterni, immortali, immuni dalle pene della gente comune. La malattia ci fa diventare tutti più umani; è, inconsapevolmente, l’antidoto più democratico che esiste alla megalomania.
La seconda considerazione è invece più pertinente ai cinque casi in oggetto ed alle evidenti analogie che li riguardano. Si tratta infatti di cinque leader che, sia pure in maniera diversa e con politiche non necessariamente omogenee e comparabili tra loro, hanno scelto i poveri dei loro rispettivi Paesi come il principale riferimento dei programmi dei loro governi. Chavez in Venezuela, Lula e Dilma in Brasile, Lugo in Paraguay e Cristina in Argentina hanno in comune un dato: un altissimo indice di consenso di approvazione tra le classi più povere della popolazione, direttamente proporzionale all’intensità delle politiche sociali e di redistribuzione della ricchezza che hanno voluto avviare e che ancora oggi costituiscono il ‘leit-motiv’ delle loro amministrazioni.
Politiche sociali che, in Brasile come in Paraguay, in Argentina come in Venezuela, costituiscono ancora oggi il ‘tallone d’Achille’ di economie in crescita o di Paesi emergenti che ambiscono a raggiungere standard e indicatori di sviluppo umano compatibili con le grandi democrazie occidentali.
In questo senso, allora, le “malattie dei presidenti” possono essere interpretate come l’indicazione di un percorso, il perseguimento di un obiettivo: la sanità pubblica, in questo contesto, è – insieme all’istruzione – la priorità da collocare al centro della scommessa che questi governi hanno già vinto con l’avvio di una spirale positiva in campo economico; una spirale che ha fatto uscire dalla povertà milioni di persone garantendogli una migliore qualità della vita, alla quale associare un servizio sanitario efficiente ed una pubblica istruzione di qualità.
Se così fosse, le ‘coincidenze’ sarebbero la ‘prova’ dell’avvio di una nuova fase e di un nuovo mondo; di un continente senza più poveri costretti a morire per mancanza di cure adeguate o di strutture sanitarie in grado di poterli curare.