Dal punto di vista della sinergia poetica si può dire in essenza che dal portoghese si arriva a Dante sempre e soltanto in compagnia dello stesso Dante. Il conto della ridondanza la faremo pagare al generoso endecasillabo della Commedia che ordina, stringe e fissa il decassillado di Camões. Ma è un fissare che muove, uno stringere che scioglie. Un punto di partenza o appartenenza. Eredità riconosciuta presso il Notaio dell’alta poesia. Con i bolli e i francobolli d’obbligo. Camões comincia a spender subito quanto gli spetta. E in procinto di iniziare è già un altro.
Prima per il tenore di salinità: la sua poesia respira tutto il sale dell´Atlantico, la salsa via di Nettuno, e la limpidità dei cieli nei mesi di maggio a luglio a Rio de Janeiro. Trasparenza in stato di attesa, da parte del pilota e del poeta. Trasparenza dei versi anche se piove e tira vento, con l’improvvisa procella di stampo virgiliano. Un vento che fa più veloce quel decasillabo di cristallo, sia esso eroico o saffico, disteso sull´ottava, prima o dopo la sosta delle rime baciate. Vasco da Gama sta sulla coperta della nave, i capelli arruffati, il viso bruciato dal sole, con quella poetica diafaneità che rende il viaggio sì diverso dal folle volo di Ulisse. E quindi ci mettiamo in alto mare aperto verso la desejada Índia, dove la saudade e la nostalgia usano piegarsi al futuro, piuttosto che al passato. Desio di forze imminenti.
Ma se parliamo dell´India, bisogna accrescere ai versi di Camões il profumo delle spezie, di canela, cravo, ardente especiaria, oltre quel vocabolario sconfinato donde emergono i tesori di tutte le parti del mondo – dovizia semantica a bizzeffe del re del Portogallo. Un decasillabo che si sdebita senza indugio della mirabile varietà rimica di Dante, che resta sempre una forza della natura.
Rinvemiano nei Lusiadas una sobrietà di rime tutte mosse dal ritmo del nuovo accento, con poche assonanze inattese, come quelle del battesimo dei frammenti geografici, scoperti appunto dai portoghesi e riportati da Camões.
I brasiliani leggono in maniera esatta quel decasillabo, poiché non soffrono di vocalofagia, di uno smodato appetito di fronte alle vocali, quasi un companatico frequente della lingua aspra e forte del Portogallo. In tale senso possiamo dire, come altri disse, che il maggior poeta brasiliano è appunto Luis de Camões.
Da questa cerchia complessiva, dalla trasparenza e dalla sintesi dell’opera del Camões dipende maggiormente la traduzione di Cristiano Martins. Forse la più sensibile e raffinata di quante apparse in Brasile. Non sono solo a pensarlo. Me lo ribadì, quasi trent’anni fa, Carlos Drummond de Andrade, fedele amico e di Dante e di Camões.
Il traduttore della Commedia, il cui centenario si festeggia nel 2012, è indubbiamente un poeta che sente sin da giovane la Radio Dante in onde corte o in onde tropicali. Martins è amico della trasparenza, del vento e delle spezie trasmesse dalla Radio Camões. E così cominciò il sodalizio o il ponte tra quelle voci e la sensibile frequenza tra quelle lingue. Ma attenzione, perché vi è un terzo d-jay: la melopea di Rilke, il principio mozartiano che rende – ma solo in apparenza – più terso quanto era già cristallino.
Il senso del vago, il bel canto alla rovescia, era già sorto nella lirica di Camões, innalzato dalla melopea del Petrarca (tra la spica e la man qual muro he messo), e serve da diapason a Cristiano Martins. Un disceplo di Mozart nella varietà del ritmo. Ma quel che conta è il suo lavoro con la terza rima per lo più asciutta e concentrata.
Quale nei plenilunii sereni
Trivïa ride tra le ninfe etterne
che dipingon lo ciel per tutti i seni
E qual Trivia, serena, a dardejar,
nos plenilúnios sobre
as ninfas ternas,
o fulgor que na altura
as faz brilhar
Tramite la rima e la fioritura della erre in tutta la terzina, il Martins infonde un vago sentimento del tempo, nella diffusione stessa dei raggi della luna, che qui appaiono come strali, che si proiettano lontani nel modo infinito di brilhar e dardejar.
La bella traduzione del Martins soffre quando bisogna essere meno trasparenti o eleganti, ma arditi od ostinati, per raggiungere i livello delle rime aspre o del turpiloquio nelle viscere di Malebolge. Oppure meno aspro, ma quasi duro, quando Dante intende sviluppare gli assi portanti della filosofia aristotelica o platoneggiante. Qui come sopra la radio Mozart e la radio Rilke non portanto aiutano al sampler di Cristiano Martins. Il programma va in onda, ma senza lo spessore del tartaro dantesco, sprovvisto dalle oscure parvenze, dalla filosofica precisazione, cauto come Mozart aldiquà dei limiti della dissonanza.
In essenza una grande traduzione, quella di Cristiano Martins. Con i limiti della sua qualità. Perché c’è sempre un muro tra la spiga e la mano. Come l’esilio di una terza lingua, che resta da sempre non raggiungibile. Come la crisalide nel Fausto di Goethe, radicata nella potenza stessa dell’avvenire, quel vime, che mai non si divima. Un zona di nessuno tra raggio ed ombra. Come chi guardasse nel vetro del decasillabo il diffondersi di un quantum di luce.
E come in vetro, in ambra o in cristallo
raggio resplende sì,
como no âmbar, no vidro
ou no cristal,
incide a luz do sol
*Marco Lucchesi,
Membro dell’Accademia Brasiliana di Lettere