Claudio Abbado non era solo un grandissimo direttore d’orchestra ma uno dei simboli dell’Italia migliore
Claudio Abbado ci ha lasciato. In punta di piedi; così come era solito fare quando saliva sul podio per dirigere le più grandi orchestre del mondo, dalla Filarmonica di Berlino alla Scala di Milano. Il più grande direttore d’orchestra del mondo, che pochi mesi fa era stato nominato dal Presidente della Repubblica “senatore a vita” per i suoi meriti in campo artistico e culturale, è morto nella sua amata Bologna. Originario di Milano, ricevette un’educazione politica e musicale dai genitori: antifascista militante il padre, violinista del conservatorio “Giuseppe Verdi”; insegnante di musica la madre. La famiglia salvò dalla deportazione un bambino ebreo, perseguitato dai fascisti; fu la mamma invece a dare al piccolo Claudio i primi rudimenti di musica. Abbado ha vissuto gli ultimi anni della sua vita a Bologna, dove dieci anni fa, nel 2004, aveva fondato l’Orchestra Mozart. L’orchestra, che da qualche anno rischia la chiusura a causa dei pesanti tagli che la crisi economica italiana ha inflitto anche alle politiche culturali, è forse il più grande dono che Abbado ha fatto all’Italia e al mondo. Quell’orchestra non era infatti soltanto una delle più prestigiose e riconosciute al mondo. Era un simbolo di quanto sia fondamentale il contributo dell’arte e della musica per la crescita civile e sociale dell’umanità. Le sue prove erano gratuite e spesso aperte agli studenti di tutte le scuole. I suoi musicisti, anche in questo caso sapientemente diretti dal loro maestro, avevano contribuito alla realizzazione nel corso degli anni di due straordinari progetti: il “Progetto Tamino”, che ha portato la musica in tanti ospedali e soprattutto nei reparti di pediatria, e il “Progetto Papageno”, che portava invece la musica tra i detenuti dei carceri di tutta Italia. La musica, l’arte, veniva intesa come terapia e come strumento di rieducazione. Perché l’arte viene dal sogno ed i sogni ci aiutano a trasformare la vita, a renderla migliore; perché solo la forza rivoluzionaria dell’arte e della musica possono sconfiggere la disperazione ed il dolore, la solitudine e la sofferenza. E’ questo il lascito più bello che ci ha fatto un grande uomo, un grande italiano, come Claudio Abbado. Quando Giorgio Napolitano lo nominò “senatore a vita” per i suoi altissimi meriti in campo artistico e culturale, non tutti compresero che si trattava di un giusto e dovuto riconoscimento ad una delle maggiori personalità italiane nel mondo. Oggi, che il Maestro ci ha lasciato, tutti riconoscono l’opportunità di quella nomina. Rendere omaggio a Claudio Abbado era, ed è ancora oggi, un atto di gratitudine verso uno dei simboli della “grande bellezza” italiana; una bellezza collettiva, da condividere e non da vivere in solitudine. Erano così le grandi opere dirette da Abbado: i capolavori del ‘romantico’ Malher, di Mozart (uno dei suoi autori preferiti), di Schubert o di Ravel. Nel suo lavoro, nella sua missione, c’era tutto il mistero ed il segreto della ‘bellezza’ che ha fatto dell’Italia il Paese con il maggior patrimonio di arte e cultura al mondo: c’era il lavoro innanzitutto, quindi l’amore per gli esseri umani e – infine – il sacrificio per la musica, al quale il Maestro ha dedicato un’intera vida. Sono questi i valori che potranno riscattare l’Italia e gli italiani se lo vorranno e se ne avranno di nuovo la forza e la capacità. Claudio Abbado è un esempio da seguire; ci ha indicato la strada. Una strada antica e moderna, fatta di cose semplici e al contempo sublimi. Rendergli omaggio è anche questo: riscoprire le nostre radici e intraprendere la strada del riscatto, coraggiosamente e con dignità.