Fabio Porta
La vittoria dei “NO” al referendum sull’Europa in Grecia riapre la discussione sul modello di integrazione europea
La chiara vittoria dei “NO” nel referendum che si è tenuto in Grecia sull’adesione alle dure misure di austerità imposte dall’Unione Europea costituirà senz’altro un punto di non ritorno relativamente al futuro del lungo e complesso processo di integrazione del “vecchio continente”. Sbaglierebbe però chi pensasse che la grande maggioranza dei greci abbia voluto chiudere la porta all’Europa con questo “NO” al quesito referendario; in Grecia, come in Italia del resto, la stragrande maggioranza della popolazione ritiene ormai ineludibile e assodata l’appartenenza all’Unione Europea e considera l’Euro come una conquista, come la loro moneta e dei propri figli. Ciò a cui si dice “NO”, sicuramente in Grecia ma probabilmente anche in Italia, è ad un’Europa fatta solo di vincoli e di divieti, soprattutto in materia economica; un’Europa del rigore alla quale negli ultimi anni non ha corrisposto un’altra Europa che stimolasse la crescita, lo sviluppo, l’espansione della produzione e dei consumi di un mercato di oltre trecento milioni di consumatori. Quando Matteo Renzi, più di un anno fa, si pose alla guida del nostro Paese, disse chiaramente che avrebbe dedicato gran parte dei suoi sforzi in politica estera al cambiamento del paradigma che fino ad allora aveva caratterizzato l’unione dei 28 Stati dell’Unione Europea: il rigore è l’austerità. Attenzione ! Nessuna persona di buon senso, a partire dal nostro Presidente del Consiglio, pensa che tenere in ordine i conti pubblici e sotto controllo l’inflazione sia un’eresia; al contrario, siamo tutti convinti che per procedere su una vera strada di integrazione sociale ed economica questi siano due dei presupposti fondamentali per garantire coerenza e stabilità all’unione politica e monetaria europea. Ciò che Renzi voleva dire, e che i greci hanno probabilmente “urlato” con il risultato del loro referendum, era un’altra cosa: l’Europa deve tornare ad essere concepita dai suoi cittadini come un sogno, un’aspirazione, una speranza di futuro in grado di muovere passioni ed energie; non quindi un elenco di regole e paletti ai quali attenersi.
Nonostante questo, però, il nostro Renzi (e noi con lui) non avrebbe votato “NO” al referendum greco, anche se ciò potrebbe apparire paradossale; potrebbe ma non lo è perché se è vero che l’Europa di questi ultimi anni non ci convince, crediamo meno ancora nell’Europa degli egoismi e degli individualismi, dell’anarchia e della mancanza di regole e del rispetto degli impegni presi. La nostra Europa, in sostanza, è — né più né meno — una grande famiglia, una grande comunità nella quale entrando ciascun integrante si impegna a mantenere gli impegni presi, anche a costo di imporre qualche sacrificio ai propri cittadini.
Onori ed oneri, in altre parole. Sì, perché fare parte dell’Europa dovrebbe riempirci tutti d’orgoglio ma anche di responsabilità, e questi sentimenti sono oggi sentiti da milioni di persone da Londra ad Atene, da Berlino a Roma, da Parigi a Lisbona. Per il sogno europeo, che è un sogno fatto di pace e di civiltà, e soprattutto di uno dei più elevati livelli di qualità della vita, centinaia di migliaia di persone rischiano ogni anno la propria vita provando a varcare frontiere spesso inaccessibili e affrontando viaggi a volte rischiosissimi. A queste donne e a questi uomini non sempre i Paesi dell’UE riescono a garantire accoglienza e ospitalità; anzi, molto spesso rispondono con politiche ostili se non addirittura xenofobe. Anche qui noi italiani siamo in prima linea e anche in questo caso chiediamo all’Europa più solidarietà e meno rigidità. Ancora una volta la lotta è tra il buon senso e l’ottusità, la ragionevolezza e la cecità. Ci consola una speranza: dalla Grecia e dall’Italia potrebbe forse nascere una nuova Europa; non è un caso che greci e italiani siano i discendenti delle più grandi civiltà del mondo classico, le patrie del diritto e della filosofia, in una parola: del buon senso!