Dal 1990 al 2015, La quota di migranti dalle economie emergenti verso quelle avanzate è raddoppiata dal 5% al 10%, seppure con differenze tra i diversi Paesi. In Finlandia, ad esempio, gli immigrati rappresentano il 5% della popolazione totale mentre in Australia sono il 30%.
“Il trend in aumento delle migrazioni”, si rimarca nel rapporto, sta diventando una “questione pressante”, aggravata dalla crisi dei rifugiati dal Medio Oriente e dal Nord Africa. “I flussi di rifugiati, guidati da fattori geopolitici, guerre e confitti, si è impennato negli ultimi due anni e non accenna a fermarsi, con oltre mezzo milione di richiesta di asilo durante la prima metà del 2016”, segnalano gli economisti di Washington. Alla fine del 2015 il numero dei rifugiati è salito a 16 milioni. Sebbene rappresenti solo una piccola quota rispetto al totale dei migranti, ha ripercussioni significative soprattutto in contesti economici di bassa crescita e alte disuguaglianze, alimentando l’ansia da globalizzazione come ha dimostrato il recente referendum sulla Brexit.
“La migrazione può esacerbare tensioni sociali e creare contraccolpi nei Paesi di accoglienza ma le passate esperienze – osserva l’Fmi – suggeriscono che può comportare guadagni in termini di crescita, produttività e sollievo rispetto all’invecchiamento della popolazione”. A differenza dei rifugiati, tra i quali il numero dei bambini è molto elevato, gli immigrati sono generalmente persone in età lavorativa, con oltre il 70% tra i 20 e il 64 anni.
“Rappresentano infatti – si legge nel rapporto – una quota significativa della forza lavoro in molte economie avanzate”. Ma se l’impatto degli immigrati sulla crescita e sulle finanze pubbliche può risultare positivo “nel lungo periodo”, nel breve termine comporta costi di bilancio, soprattutto nel caso dei rifugiati. “La velocità dell’integrazione è cruciale”, avverte l’Fmi sollecitando procedure più spedite per richieste di asilo in modo tale da facilitare l’inserimento nel mondo del lavoro e limitare i costi dell’accoglienza.
Le spese per i rifugiati possono costare all’Eurozona fino allo 0,2% del Pil. Secondo l’Fmi, il peso maggiore sarà sopportato da Austria, Finlandia, Germania e Svezia. Per Stoccolma in particolare si prevede che il costo dei rifugiati ammonterà quest’anno all’1% del PIl. Nel lungo periodo, la migrazione ha invece “la potenzialità di ridurre la pressione fiscale collegata all’invecchiamento della popolazione” nei paesi di accoglienza, rassicura l’organizzazione di Washington. Il problema della sostenibilità del sistema pensionistico e della sanità in molti Paesi non può tuttavia completamente risolversi, avverte l’Fmi, solo con gli immigrati: “richiede ulteriori riforme”.
Le attese sulla crescita mondiale restano modeste. Lo sottolinea il Fondo monetario internazionale nei capitoli analitici del World Economic Outlook, indicando che la prospettiva globale “è debole, non favorevole rispetto ai trend di produttività” e reclamando più investimenti e meno barriere commerciali.
Per l’istituzione internazionale guidata da Christine Lagarde, “contrastare la generale fragilità dell’attività economica, soprattutto degli investimenti, significherebbe stimolare gli scambi commerciali che a loro volta contribuirebbero a rafforzare la produttività e la crescita”, rivitalizzando così il circolo virtuoso tra la riduzione dei costi del commercio e il tasso di sviluppo. (AGI)