Luigi Di Maio, intervenendo alla Camera dei deputati lo scorso 8 marzo, ha lanciato una serie di durissime accuse al governo, alla maggioranza che lo sostiene e ai partiti che la compongono. Il discorso è stato ripreso molto dalla stampa, anche per uno scontro con la presidenza dell’Aula che ha reso i toni particolarmente accesi.
In primo luogo Di Maio ha accusato i partiti e la maggioranza di governo di aver “provocato danni al nostro Paese pari a quelli di una guerra mondiale”.
Questa affermazione è falsa, e potrebbe persino essere considerata offensiva per la memoria storica del Paese, se solo si considerano le vittime italiane causate dalle guerre mondiali: 1 milione e 240 mila persone nella Grande Guerra, quasi 500 mila nel secondo conflitto.
Consideriamo poi i danni materiali alle città, alcune interamente distrutte durante la guerra (Recco, Cassino, Paternò etc.), altre il cui centro abitato è stato raso al suolo per oltre il 50% (Cagliari, Livorno, Messina, Reggio Calabria etc.).
E l’elenco dei danni delle guerre – tra feriti, sfollati, effetto delle armi chimiche, leggi razziali, guerra civile, stragi contro la popolazione eccetera – potrebbe andare avanti. Anche imputando agli ultimi governi (Letta, Renzi e Gentiloni) l’intera responsabilità per le peggiori sciagure che hanno colpito il Paese negli ultimi anni, come la crisi economica o i terremoti, il paragone rimane una forte provocazione con pochi riscontri nella realtà.
Di Maio non è comunque il primo che azzarda confronti con le guerre mondiali, lo aveva fatto – pur parlando solo della loro dimensione temporale, e non dei danni causati – il ministro Alfano pochi giorni fa.
Di Maio poi, accusando il governo di reggersi grazie ai cambi di casacca, sostiene: “in quest’aula c’erano 10 gruppi, tra gruppi e componenti, all’inizio della legislatura, oggi ce ne sono quasi 20. La maggior parte delle sigle presenti neanche esistevano sulla scheda elettorale delle ultime elezioni politiche. Siamo la legislatura con il più alto numero di cambi di casacca della storia”.
Per quanto riguarda il numero di gruppi parlamentari alla Camera, a inizio legislatura erano 8 (Pd, M5S, Pdl, Fdi-An, Lega, Sel, Scelta Civica, gruppo misto) e all’interno del gruppo misto erano presenti 3 sottogruppi (Centro Democratico, Ala-Maie e Minoranze Linguistiche), per un totale di 10, se consideriamo il gruppo misto non come un gruppo ma come un insieme di sottogruppi.
Attualmente i gruppi alla Camera sono diventati 12 e all’interno del gruppo misto ci sono poi 8 diverse sigle che lo compongono, per un totale di 19. Di Maio ha quindi ragione.
Ha ragione anche quando sostiene che di queste 19 sigle la maggior parte non esisteva sulla scheda elettorale delle elezioni del 2013. Qui erano infatti presenti i simboli di Partito Democratico, Fratelli d’Italia-An, Movimento 5 Stelle, Lega Nord e Centro Democratico. La lista si può allungare se consideriamo Forza Italia come diretta discendente del Pdl (il cui simbolo era sulla scheda), Sinistra Italiana discendente diretta di Sel e i Civici Innovatori di Scelta Civica. Ma in ogni caso i “nuovi” simboli sono la maggioranza.
Di Maio ha infine ragione sul record di cambi di partito della XVII legislatura: sbriciolato il precedente di 400 cambi di casacca della XIII legislatura, attualmente siamo a quota 447. Sono 310 i deputati e senatori che hanno cambiato gruppo, alcuni più di una volta.
Di Maio poi, facendo una cronistoria dei precedenti governi, ha detto: “alle elezioni del 2013 il M5S si è classificato prima forza politica italiana”.
Questa è un’affermazione scorretta che il Movimento 5 Stelle cita periodicamente. Ce ne eravamo occupati subito dopo le elezioni: il primo partito uscito dalle urne è stato il Pd, sia alla Camera che al Senato. Alla Camera i democratici avevano ottenuto 8.932.615 voti, contro i 8.797.902 del M5S. Il Pd ha, quindi, racimolato 134.713 voti in più, e infatti ha ottenuto il premio di maggioranza previsto dalla legge elettorale. Al Senato il Pd aveva poi ottenuto 8.683.690 voti contro i 7.471.671 del Movimento 5 Stelle, con una differenza di oltre un milione di voti.
L’unico possibile appiglio per l’affermazione di Di Maio sta nel fatto che nella sola circoscrizione Italia della Camera (che non include i voti degli italiani all’estero) il M5S risulta il primo partito, ottenendo 8.702.861 voti, contro 8.644.523 del Pd, per una differenza di 58.338 voti. Tuttavia non c’è motivo per considerare i voti degli italiani residenti all’estero come “voti di serie B” e per non includerli nel totale.(AGI)