Fagnano di Valsamoggia (Bologna) – Alle otto di sera la piccola via Giusti è una fila di auto parcheggiate male e di telecamere che puntano sul pezzetto di carta attaccato a un citofono esterno al piano terra. C’è scritto «Collina», il cognome di Valeria. La madre di Youssef Zaghba, classe 1949, è barricata dentro. Non risponde, non apre, non impreca. Niente.
«Sono preoccupata»
Non aveva più notizie di suo figlio da venerdì scorso. Suo marito Mohammed, dal Marocco, l’aveva messa in allerta perché lui non rispondeva mai al telefono. Così lei aveva chiesto agli amici londinesi di andare a cercarlo mentre qui, alle amiche musulmane come lei, aveva confidato che «è irrequieto, sono molto preoccupata per lui».
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«Sono preoccupata»
Non aveva più notizie di suo figlio da venerdì scorso. Suo marito Mohammed, dal Marocco, l’aveva messa in allerta perché lui non rispondeva mai al telefono. Così lei aveva chiesto agli amici londinesi di andare a cercarlo mentre qui, alle amiche musulmane come lei, aveva confidato che «è irrequieto, sono molto preoccupata per lui».
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Forse si nascondeva
Quando lunedì ha visto in tivù le facce dei primi due identificati — proprio gli amici di suo figlio — si è detta che forse Youssef si stava nascondendo perché temeva guai con la polizia. Ha scacciato dalla mente il pensiero che il nome mancante fosse proprio il suo. Fino all’ultimo. Fino a martedì mattina, quando sono venuti a dirle che Youssef era il terzo uomo degli attacchi di Londra. Ucciso, come i suoi amici.
Sgomento
Il suo sgomento di madre, di musulmana, di donna, Valeria — cattolica convertita all’islam da 26 anni — l’ha affidato a Brahim Maarad de l’Espresso. «Quando i figli sbagliano i genitori si danno sempre qualche colpa» ha detto. «Ma io ce l’ho messa tutta e penso che lui sia stato logorato all’interno. Abbiamo sempre controllato le amicizie e verificato che non si affidasse a persone sbagliate. Ma aveva Internet ed è da lì che arriva tutto. Né in Italia né in Marocco, dove studiava informatica all’università di Fes, si era mai lasciato trascinare da qualcuno».
L’ultima telefonata
L’ultima volta che ha sentito la sua voce al telefono, racconta, è stato giovedì: «Con il senno del poi mi rendo conto che quella era una telefonata d’addio. Pur non avendomi detto nulla di particolare lo sentivo dalla sua voce». Hanno chiacchierato e scherzato sull’accoglienza che lui le avrebbe riservato a Londra dove lei aveva programmato di andare per festeggiare la fine del Ramadan. Valeria si spinge a dire che «capisco e condivido la scelta degli imam che non vogliono celebrare il suo funerale perché è necessario dare un forte segnale politico e un messaggio ai famigliari delle vittime e ai non musulmani». Giura che dedicherà la vita a impegnarsi «perché non accada più». E per farlo ha già individuato la strada: «Insegnare il vero islam alle persone».
Vent’anni di Marocco
A Fagnano, dov’era tornata a vivere dopo molti anni passati in Marocco con la famiglia, Valeria non ha mai fatto davvero parte della comunità. Aveva poche amiche, quasi tutte musulmane e non italiane, e se usciva lo faceva soltanto assieme a loro. Era contenta quando, alcuni mesi fa, Youssef si era trasferito a Londra, aveva sperato che finalmente trovasse un buon lavoro e mettesse su famiglia invece di pensare a tutti quei ragionamenti sulla Siria che, diceva lui, era «un luogo dove vivere un islam puro». Quel figlio tanto «inquieto» non era la sua sola disperazione. Anche con suo marito Mohammed non è più in buoni rapporti da tempo. Dopo aver vissuto con lui in Marocco tanti anni, lei ha deciso di rientrare in Italia un anno fa, perché lui la tormentava imponendole la presenza di altre donne in casa e perché, stando al racconto dei parenti, la picchiava. «Una volta — rivela sua zia Mafalda — l’ha mandata in ospedale per quaranta giorni. L’ha raccontato lei stessa a suo padre appena arrivata in Italia».
Litigi
In questi ultimi anni non è capitato molto spesso che Mohammed e Youssef fossero qui, nella casa di Fagnano. «Quando succedeva si sentivano litigi — dice il vicino che vive la piano di sopra, Franco —. Soprattutto Youssef se la prendeva con la sorella più grande perché pretendeva che si comportasse e si vestisse a modo suo». L’avrebbe voluta «più islamica», come lui che cercava «l’islam puro» nutrendosi di propaganda via Internet. Sognando la Siria e il martirio. (Corriere)