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Barbarie contemporanea

21 de setembro de 2016 - Por Comunità Italiana
Barbarie contemporanea

Barbarie contemporaneaIl 29 settembre del 1944 iniziava una delle più sanguinose rappresaglie nazi-fasciste in Italia: la strage di Marzabotto

“Il più vile sterminio di popolo”. Così il poeta Salvatore Quasimodo, premio Nobel per la letteratura, descrive l’eccidio di Monte Sole, più noto come la strage di Marzabotto, nei versi dedicati a quell’orribile crimine di guerra. Un crimine che ha inizio alla fine di settembre del 1944, mentre in Italia si continua a combattere, con il fronte alleato che avanza da Sud verso Nord per liberare il Paese. Al fianco delle armate statunitensi e britanniche sono schierate le brigate partigiane, sorte a macchia di leopardo lungo lo Stivale, ma concentrate prevalentemente nell’area centro-settentrionale. I partigiani cercano di fiaccare la resistenza del nemico e le truppe nazi-fasciste, che spesso riportano perdite consistenti, si rivalgono sulla popolazione civile. L’avanzata degli alleati verso il settentrione, iniziata con gli sbarchi in Sicilia nel giugno del 1943, è però lenta e faticosa.
Le armate tedesche, supportate dai fascisti “repubblichini”, rimasti fedeli a Hitler e Mussolini anche dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, al termine di lunghe ed estenuanti battaglie sono comunque costrette a cedere il terreno. La disperazione e la frustrazione producono altro orrore, fatto di brutali rappresaglie nei confronti dei civili. La guerra si fa ogni giorno più sporca e crudele, con operazioni fratricide che vedono fascisti italiani, talvolta nati e cresciuti negli stessi luoghi delle vittime, collaborare senza scrupolo all’uccisione di intere famiglie di loro concittadini.
Siamo in Emilia Romagna, in provincia di Bologna, in una vallata che comprende i comuni di Marzabotto, Monzuno e Grizzana Morandi: nel giro di sei giorni, a cavallo tra il 29 settembre e il 5 ottobre di 72 anni fa, vengono assassinate 770 persone. Buona parte delle vittime è composta da donne, anziani e bambini. Morti innocenti che passeranno alla storia come le vittime della “strage di Marzabotto”, dal nome del più grande dei centri colpiti. In realtà non si tratta di un singolo episodio avvenuto in un’unica località: le attività di rappresaglia hanno luogo in ogni paesino, villaggio e frazione della zona e non risparmiano neanche le cascine e i casolari più isolati.

Kesserling il mandante, Reder l’esecutore
L’agosto di quell’anno era già stato caratterizzato da innumerevoli rappresaglie tedesche ai danni dei civili. Dopo il massacro di Sant’Anna di Stazzema, avvenuto il 12 agosto e costato la vita a centinaia di persone inermi, le acque sembravano però essersi calmate. Nell’estate gli alleati erano arrivati nei pressi della cosiddetta Linea Gotica, eretta dai tedeschi lungo i monti della Toscana e dell’Emilia Romagna. Si combatteva anche a poche decine di chilometri da Marzabotto. Dopo i primi successi americani, tuttavia, gli alleati faticavano ad avanzare. La calma, però, è solo apparente.
Nella seconda metà di settembre del 1944, approfittando di un quadro di relativa stabilità, il federmaresciallo tedesco Albert Kesserling decide di organizzare un vasto programma di rastrellamenti nelle sue retrovie, con il duplice obiettivo di distruggere le formazioni partigiane e di imprimere una dura lezione ai nuclei di civili sospettati di appoggiarle. Una lezione che, naturalmente, non contempla alcun procedimento finalizzato ad accertare l’innocenza o la colpevolezza dei civili. Kesserling in quei giorni viene a sapere che nei pressi di Marzabotto agisce la Stella Rossa, una brigata partigiana che negli ultimi tempi sta riportando diversi successi sul piano militare: dispone un duro attacco contro l’organizzazione combattente e ordina di punire severamente l’intera popolazione della zona. A capo dell’operazione viene posto il maggiore Walter Reder, comandante del sedicesimo battaglione esplorante, soprannominato “il monco”. Kesserling sceglie lui perché lo considera uno “specialista” in materia.

Nessuna pietà, uccisi anche i neonati
Il 29 settembre, di prima mattina, quattro reparti delle truppe naziste formati sia da SS che da soldati della Wehrmacht, accerchiano e rastrellano una vasta porzione di territorio compresa tra le valli del Setta e del Reno. Viene fatta terra bruciata: sono assaltate le abitazioni e le cascine, ma anche le chiese e le scuole. Il panico si diffonde rapidamente in tutta la vallata. Le notizie raggiungono presto la piccola frazione di Casaglia di Monte Sole, dove la popolazione, sconvolta ed impaurita, si rifugia nella chiesa di Santa Maria Assunta. I cittadini del luogo si raccolgono in preghiera, ma nel giro di poche decine di minuti arrivano i tedeschi, che fanno irruzione nella chiesa: con una raffica di mitra uccidono il sacerdote don Ubaldo Marchioni e tolgono la vita a tre anziani. Il resto dei presenti viene condotto nel cimitero del paese e fucilato: muoiono 197 persone, compresi 52 bambini. È l’episodio più tragico ed eclatante dell’operazione guidata da Reder, al quale fanno seguito crimini e violenze altrettanto efferate. I tedeschi setacciano ogni angolo di ogni singola frazione e non risparmiano nessuno: a Casaglia di Caprara il parroco Giovanni Fornasini viene ucciso a sangue freddo da un ufficiale tedesco e il suo corpo verrà ritrovato, decapitato, soltanto alcuni mesi dopo; nella frazione di Castellano nessuna pietà per una donna ed i suoi sette figli; a Tagliadazza vengono fucilate 11 donne e otto bambini. Muore anche il piccolo Walter Cardi, che era nato da appena due settimane.
Prima di andarsene, per completare l’opera, Reder fa disseminare il territorio di mine, che da quel giorno, per i successivi 22 anni, produrranno numerose esplosioni, che costeranno la vita ad altre 55 persone. Gli unici sopravvissuti della strage di Marzabotto sono due bambini, Fernando Piretti e Paolo Rossi, di otto e sei anni, e una donna, Antonietta Benni, maestra d’asilo delle Orsoline, che riesce a salvarsi fingendosi morta, per 33 ore, in mezzo ai cadaveri ammassati sul selciato. Nei giorni successivi, le autorità fasciste, che controllano anche la stampa locale, negano i crimini e bollano le notizie che iniziano a circolare come voci infondate e diffamatorie.

Condanne e insabbiamenti
Solo dopo la Liberazione, nell’aprile del 1945, emerge lentamente la verità, in merito all’entità del massacro. La strage di Marzabotto verrà ricordata per sempre come un brutale crimine contro l’umanità e come uno dei più gravi crimini di guerra perpetrati dalle forze armate tedesche. Nel 1951 Reder sarà condannato all’ergastolo. Il 14 luglio del 1980 il tribunale militare di Bari gli concederà la libertà condizionale, aggiungendo però un periodo di trattenimento in carcere di 5 anni, “salva la possibilità per il governo di adottare provvedimenti in favore del prigioniero”.
Il 23 gennaio 1985 l’allora presidente del consiglio Bettino Craxi deciderà di liberare anticipatamente Reder, su pressione dei governi austriaco e tedesco. Sei anni dopo, il responsabile dell’eccidio morirà a Vienna. Risulterà invece più complesso identificare e processare gli altri militari che presero parte alla catena di comando dell’operazione: il procedimento, che vedrà imputati 17 ufficiali e sottoufficiali delle SS tedesche, avrà inizio soltanto nel 2006, grazie alla scoperta di 695 fascicoli di inchiesta presso la sede della Corte Militare d’Appello di Roma. I faldoni, rinvenuti nel 1994, recavano un timbro con la scritta “archiviazione provvisoria” ed erano rimasti chiusi per 34 anni all’interno di un armadio rivolto verso il muro, immediatamente ribattezzato come “l’armadio della vergogna”. Il processo si concluderà con una condanna in contumacia all’ergastolo per dieci imputati, riconosciuti colpevoli di “violenza pluriaggravata e continuata con omicidio”. Al di là degli aspetti giudiziari e del giudizio storico, ciò che resta è il prezzo altissimo, in termini di vite umane, pagato dalle vallate nei dintorni di Marzabotto all’occupazione nazi-fascista: complessivamente in quei luoghi, tra l’estate e l’autunno del 1944, furono uccisi 955 civili. Se si considerano anche i decessi avvenuti per altre cause di guerra, il numero delle vittime sale a quota 1.830. Un autentico bagno di sangue. “Barbarie contemporanea”, per dirla ancora con Quasimodo.

Comunità Italiana

A revista ComunitàItaliana é a mídia nascida em março de 1994 como ligação entre Itália e Brasil.