L’Italia è spaccata in due: il Nord chiede sicurezza, il Sud protezione sociale. Non c’è una maggioranza, serve tempo per arrivare a formare un Governo
Vincono Movimento 5 Stelle e Lega, perde Forza Italia e crolla il PD. I risultati delle elezioni politiche del 4 marzo provocano un terremoto che stravolge lo scenario politico italiano. Il Paese, per il momento, è senza una maggioranza in grado di formare un governo. Il Movimento 5 Stelle, che dilaga al centro-sud, è il primo partito italiano, con il 32,7% alla Camera e il 32,2% al Senato. La coalizione che complessivamente ottiene più consensi, però, è quella di centrodestra, con la Lega che fa il pieno di voti al centro-nord e conquista la leadership interna: forte del 17,4% alla Camera e del 17,6% al Senato, supera Forza Italia, che non va oltre il 14% alla Camera e il 14,4% al Senato. Sommando i voti di Fratelli d’Italia (4,3%) e Noi con l’Italia (1,3%), il centrodestra ottiene la maggioranza relativa, ma non ha comunque i numeri per dare vita ad un governo. Fuori causa il centrosinistra, con il PD di Renzi costretto a fare i conti con una vera a propria debacle: 18,7% alla Camera e 19,1% al Senato. Male anche gli alleati, con la performance migliore che è quella di +Europa, le cui percentuali non superano il 2,5%.
La legge elettorale partorita da PD e Forza Italia era stata pensata con un preciso obiettivo: da una parte impedire al Movimento 5 Stelle, che era dato in testa a tutti i sondaggi, di andare al Governo; dall’altra consentire al secondo e al terzo partito più votati, che si immaginava sarebbero stati PD e Forza Italia, di dare vita ad un governo di larghe intese che in molti avevano già ribattezzato “renzusconi”. Come spesso accade, calcoli e alchimie politiche vengono rovesciate dalla realtà, e i “grandi” strateghi dell’agire politico vengono puniti dagli elettori. Gli unici risultati centrati dalla nuova legge elettorale, infatti, sono stati quelli di rendere ingovernabile il Paese e di provocare un moto di ribellione contro il cosiddetto “inciucio” tra Renzi e Berlusconi. I flussi di voto, d’altronde, parlano chiaro: il PD, rispetto alle politiche del 2013, ha perso tra i 7 e gli 8 punti percentuali. Esattamente gli stessi punti guadagnati dal Movimento 5 Stelle, che ha capitalizzato il dissenso e la delusione di larga parte degli elettori di centrosinistra. Anche Forza Italia, nel centrodestra, ha perso tra i 7 e gli 8 punti percentuali, che sono finiti alla Lega di Salvini, protagonista del successo più clamoroso e inaspettato. Non basta il travaso di voti da Forza Italia, infatti, per spiegare il balzo impressionante compiuto da un partito che nel 2013 aveva ottenuto appena il 4% e che in breve tempo ha più che quadruplicato il proprio consenso nel Paese, trasformandosi da partito territoriale in forza politica nazionale.
Maggioranza traversale o elezioni
Con questi risultati, al momento, sul tavolo ci sono due opzioni: la nascita di un governo sostenuto da forze appartenenti a schieramenti diversi o il ritorno alle urne. La seconda ipotesi non è da escludere del tutto, ma appare piuttosto remota alla luce di due considerazioni: da una parte i neo-eletti difficilmente accetteranno di tornare a casa, rinunciando a cuor leggero ad un posto al sole. Dall’altra tornare alle urne, senza una nuova legge elettorale che favorisca un minimo di governabilità, rischierebbe di replicare lo status quo. Si lavora, dunque, su più tavoli, nel tentativo di trovare una maggioranza che sia in grado di dare vita ad un esecutivo. Quale che sia la strada da imboccare, i tempi si preannunciano piuttosto lunghi e il percorso irto di ostacoli. Un ruolo decisivo lo giocherà il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che ascolterà i leader politici nel corso delle consultazioni e avrà la responsabilità di conferire un primo mandato esplorativo. Un mandato che, numeri alla mano, spetterà al leader pentastellato Luigi Di Maio o a quello della Lega Matteo Salvini. L’uno, l’altro o tutti e due insieme, innanzitutto per ragioni aritmetiche, ma anche per considerazioni di opportunità politica, dovranno necessariamente fare parte del nuovo esecutivo.
Ipotesi Governo M5S –Lega
In linea teorica l’esito più naturale delle trattative post-voto sarebbe la nascita di un governo entrambe forze anti-sistema, entrambe reduci da un grande successo elettorale, entrambe portatrici di una forte richiesta di discontinuità, insieme avrebbero i numeri per formare un nuovo governo. Approdo possibile, ma per nulla scontato. La Lega, infatti, ha appena conquistato la leadership del centrodestra e non ha alcun interesse a far saltare il banco della coalizione che, dopo anni di rincorsa, è arrivata ad avere in pugno, per avventurarsi in un percorso dagli esiti incerti e probabilmente di breve respiro. Stesso discorso, più o meno, per il Movimento 5 Stelle, che dopo il boom delle ultime elezioni, al quale ha contribuito un elettorato in larga parte proveniente dal centrosinistra, rischierebbe di uscire scottato dall’abbraccio con una forza marcatamente di destra, anti-europeista e anti-immigrati. Non a caso Salvini ha già fatto sapere di essere pronto a governare, ma soltanto insieme al resto del centrodestra, mentre Di Maio si è detto pronto a ricevere l’incarico, lanciando al contempo segnali di apertura nei confronti del PD.
Ipotesi Governo M5S-PD
Movimento 5 Stelle e Partito Democratico, negli ultimi anni, se le sono date di santa ragione, con violenti scambi di accuse e colpi bassi. Eppure, quella che appare come un’intesa innaturale, potrebbe invece tradursi in realtà. Di Maio ha condotto una campagna elettorale da uomo di governo e con toni molto più bassi rispetto agli standard del M5S. Alla vigilia del voto, ha presentato la sua squadra di ministri, che conta almeno quattro figure provenienti dall’area PD. Anche questi sono segnali. I democratici, d’altronde, avrebbero tutto l’interesse a rientrare in gioco. Se si tornasse subito al voto, infatti, con l’aria che tira rischierebbero una batosta epocale. Di mezzo, però, c’è l’ostacolo Renzi. L’ex premier e leader del PD, il giorno dopo il voto ha annunciato le dimissioni da segretario del partito, precisando però che diventeranno effettive solo dopo la formazione del nuovo governo. Contestualmente ha lanciato duri attacchi all’ex premier Gentiloni, al presidente Mattarella e alla minoranza del partito, specificando che il PD non appoggerà mai un governo cinquestelle e che resterà saldamente “all’opposizione delle forze estremiste”. Il partito in queste ore è in macerie, in molti sono tentati da un’intesa con Di Maio e potrebbero costringere il segretario ad un passo indietro anticipato rispetto alle sue intenzioni. Renzi per ora tiene il partito in ostaggio, è pronto a fare barricate, ma è difficile prevedere se e quanto resisterà.
Altre ipotesi di Governo
Al di fuori delle due ipotesi di governo elencate, restano pochi margini di manovra. A livello numerico, la coalizione meno lontana dalla possibilità di formare un governo in autonomia è quella di centrodestra. Si tratta, però, di una strada difficilmente percorribile: servirebbero, infatti, più di una settantina di deputati e una trentina di senatori per avere una maggioranza, peraltro quanto mai risicata, nei due rami del parlamento. Considerando, inoltre, che sul piano dei contenuti Berlusconi e Salvini non sono d’accordo praticamente su nulla, un esecutivo simile rischierebbe di avere vita decisamente breve. Lo sa bene Salvini e lo sa anche Berlusconi, che dunque difficilmente si produrranno in una disperata campagna acquisti parlamentari. Altre possibilità, che tuttavia appaiono estremamente remote, sono quelle di un esecutivo Centrodestra-M5S o Centrodestra-PD. Alla fine, se proprio non si dovesse trovare la quadra, dal cilindro di Mattarella potrebbe uscire una soluzione intermedia: governo di scopo, con tutti quelli che ci stanno, per scrivere una nuova legge elettorale. E poi subito alle urne.
Il Nord vira a destra
Un elettore su due, alle elezioni del 4 marzo, ha votato M5S o Lega. Il successo di queste due forze politiche incarna una domanda di radicale rinnovamento della scena politica nazionale ed esprime un messaggio forte contro le politiche di rigore dell’Unione Europea. Le affinità, però, terminano qui, perché il risultato elettorale restituisce un’Italia divisa in due anche in termini di richieste e necessità: il Nord, premiando la Lega, chiede più sicurezza e cede alla propaganda anti-immigrati, mentre il Sud, affidandosi al M5S, invoca lavoro, protezione sociale e legalità. Il tema della sicurezza, negli ultimi mesi, anche sulla scia di alcuni casi di cronaca, ha assunto una posizione centrale nel dibattito pubblico nazionale. La Lega ha soffiato sul fuoco, alimentando una percezione del fenomeno spesso deformata, che riconduce all’immigrazione i problemi della mancanza di sicurezza e della carenza di occupazione. Più di tutte le altre forze politiche, la Lega è riuscita a catalizzare le paure degli italiani trasformandole in consenso. Salvini, a differenza di altri leader della destra italiana, non compie richiami ideologici al fascismo, ma promette di rispedire gli immigrati a casa loro in nome di un presunto buon senso. Quello del “non siamo noi razzisti, sono loro che si comportano male” o del “vengono prima gli italiani”. Slogan che hanno fatto breccia soprattutto al nord, che hanno consentito alla Lega di cannibalizzare i consensi delle forze moderate del centrodestra (Forza Italia e UDC) e di stravincere la competizione a destra del centrodestra con Fratelli d’Italia.
Il Sud invoca protezione sociale
Il M5S è invece il soggetto politico che ha intercettato il bisogno di giustizia e protezione sociale degli italiani — e dei meridionali in particolare — con proposte come quella del reddito di cittadinanza. L’Italia, d’altronde, è un Paese alle prese con una disoccupazione giovanile fuori controllo, ampie fasce della popolazione stanno soffrendo e il centrosinistra, in questi anni, non è stato in grado di fornire risposte adeguate. Gli scandali che hanno colpito esponenti di primo piano del PD, le leggi salva-banche e una classe dirigente ormai troppo distante dalle necessità di chi è rimasto indietro, hanno determinato il ceffone elettorale che ha tramortito Renzi. Il M5S, fino ad oggi, è stato il movimento della democrazia dal basso, della lotta alla corruzione, dei parlamentari che si tagliano gli stipendi e che chiedono di abolire vitalizi e privilegi dei politici. I pentastellati, per un’ampia porzione dell’elettorato, rappresentano la speranza di ridurre le distanze sociali e di reintrodurre la legalità nel Paese. Sono accusati di essere demagogici e populisti, ma in realtà hanno fatto propri molti di quei valori che un tempo appartenevano alla sinistra e che nei fatti la sinistra ha rinnegato da tempo. Si definiscono “né di destra né di sinistra”, categorie della politica che considerano superate e questa dimensione post-ideologica consente loro di dialogare con tutti. Sul tema dell’immigrazione hanno una posizione legalitaria, basata sull’accoglienza di chi ne ha diritto e sulla chiusura delle frontiere nei confronti dei cosiddetti “irregolari”.
Il Brasile elegge due deputati
In netta controtendenza gli elettori delle circoscrizioni estere, che su 18 seggi in palio ne assegnano 7 al PD (5 alla Camera e 2 al Senato), 5 al centrodestra (3 alla Camera e 2 al Senato), 2 al MAIE (1 alla Camera e 1 al Senato), 2 all’USEI (1 alla Camera e 1 al Senato) e uno ciascuno a Movimento 5 Stelle (Camera) e +Europa (Camera). Il Brasile, che prima aveva tre rappresentanti nel parlamento italiano, ne perde uno: nessun senatore eletto, mentre Roberto di San Martino Lorenzato di Ivrea (Lega) e Fausto Guilherme Longo (PD) conquistano un posto alla Camera. Fabio Porta, presidente uscente del Comitato Italiani nel Mondo della Camera, non ce l’ha fatta. Gli altri eletti, nella Ripartizione America Meridionale, sono tre argentini e un uruguaiano: Mario Alejandro Borghese (MAIE) ed Eugenio Sangregorio (USEI) alla Camera, Ricardo Merlo (MAIE) e Adriano Cario (USEI). Nella Ripartizione Europa eletti 5 deputati, Massimo Ungaro (PD), Angela Schirò (PD), Simone Billi (centrodestra), Elisa Siragusa (M5S), Alessandro Fusacchia (+Europa), e i senatori Laura Garavini (PD) e Raffaele Fantetti (Forza Italia). Nella Ripartizione America Settentrionale e Centrale, alla Camera conquistano un seggio Fucsia Fitzgerald Nissoli (Forza Italia) e Francesca La Marca (PD), mentre al Senato la spunta Francesca Alderisi (Forza Italia). Infine la Ripartizione Asia-Africa-Oceania-Antartide alla Camera elegge Nicola Carè (PD) e al Senato manda Francesco Giacobbe (PD).