“E’ un segreto di Pulcinella tra i venture capitalist britannici che i soldi nei loro fondi non sarebbero mai decollati senza gli assegni dell’European Investment Fund”. Così scriveva Bloomberg il 7 maggio 2016 (segreto di Pulcinella consideratela una libera traduzione), quando negli ambienti londinesi si cominciava a temere l’effetto possibile della Brexit sul venture capital britannico. In numeri, dei 9 miliardi investiti dall’Eif nei fondi di nazioni europee, 2,3 miliardi sono andati a quelli britannici.
Una leva di assoluto livello che ha contribuito al successo del venture capital britannico, insieme a tutte quelle caratteristiche che rendono Londra un modello assoluto di startup city. Business Insider in questi giorni ha lanciato un allarme, con un piccolo scoop: “Il Fondo europeo di investimento (Eif) non risponde più alle richieste di investimento dei fondi di venture capital britannici”.
Lo strumento di investimento europeo è accusato di aver ‘congelato’ alcuni venture capitalist di Londra dopo il voto che ha sancito l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea. Il Fondo europeo è nato nel 1993 per sostenere la creazione di aziende innovative.
‘Un altro grande esempio del disastro Brexit’
Business Insider riporta la voce di Simon Murdoch, general manager di Episode 1 Ventures, che starebbe per lanciare un secondo veicolo di investimento, ottenendo un ‘niet’ dal fondo europeo. Simon Murdoch a Business Insider ha descritto l’Eif come “un’ istituzione fondamentale”, e che il raffreddamento dei rapporti con il fondo “è un altro grande esempio del disastro della Brexit”. Tutto però sarebbe precipitato il 29 marzo scorso, quando il premier britannico Theresa May ha consegnato all’Ue la lettera per chiedere ufficialmente l’applicazione dell’articolo 50 del Trattato di Lisbona, che definisce la procedura per lasciare volontariamente l’Unione. “Da allora hanno deciso di non continuare i rapporti con noi”, ha detto Murdoch.
Chi ha messo i soldi in quel fondo
Il Fondo europeo di investimento ha una dotazione di circa 20 miliardi. Investe direttamente in fondi di venture capital, o in casi più rari interviene come garanzia per le aziende quando richiedono prestiti alle banche. E’ partecipato al 59,8% dalla Banca di investimenti europea, al 28,1% dalla Commissione europea e al 12,1 da istituzioni finanziarie private. Può operare solo verso fondi e aziende che fanno parte degli Stati membri. E la Gran Bretagna non lo sarà più.
Si tratterebbe solo dell’ultima delle mosse nella complicata partita tra Uk e Ue all’indomani della Brexit. Londra è uno dei principali 4 contributori della Banca di investimento europea, maggiore azionista dell’Eif, dove ha versato 39miliardi di euro, stessa cifra versata da Germania, Francia e Italia. Non è un caso che Theresa May il 20 maggio scorso abbia chiesto all’Ue proprio la restituzione dei fondi britannici messi nella Banca di investimento. Contribuendo ad alimentare un clima di tensione che si sta ripercuotendo sugli investitori di Londra e sulle startup nel loro portfolio. Molti sono scettici sugli effetti reali della Brexit sulla startup scene britannica. Molti, tranne gli operatori del settore a quanto pare. (AGI)