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Cerchio magico Le Pen in Panama Papers

Ci sono anche persone vicine a Marine Le Pen nel “sofisticato sistema di evasione fiscale off-shore messo insieme tra Hong Kong, Singapore, Isole Vergini britanniche e Panama”. Lo scrive il quotidiano francese Le Monde, puntando l’indice contro “il cerchio di fedelissimi del presidente del Fronte Nazionale”: un sistema messo in piedi “per portare fuori dalla Francia il denaro, attraverso società di comodo e fatture false e cosi’ sfuggire al sistema fiscale francese”.

Lo scandalo dei Panama Papers si allarga inoltre ad altri due nomi di primo piano della politica cinese. I familiari di altri due leader di Pechino sono coinvolti nel giro di società offshore rivelato dai documenti riservati dello studio legale panamense Mossack Fonseca. Oltre al cognato del presidente cinese Xi Jinping, Deng Jiagui, tra gli 11,5 milioni di file confidenziali dello studio legale di Panama compaiono anche quelli dei familiari di Liu Yunshan e Zhang Gaoli, rispettivamente il capo della Scuola Centrale del Partito Comunista Cinese e il vice primo ministro esecutivo. Entrambi siedono nel Comitato Permanente del Politburo, il vertice del potere del Partito Comunista Cinese. I familiari di Liu e Zhang, secondo quanto scrive la Bbc, figurano nelle cariche di direttori o di azionisti di società offshore in alcuni paradisi fiscali. I loro nomi si aggiungono a quelli dei leader già usciti ieri, collegati tramite familiari alla galassia di società offshore gestite con l’aiuto dello studio legale panamense. Oltre a Xi, il cui cognato è dal 2009 a capo di due società fiduciarie alle Isole Vergini Britanniche, compaiono i nomi di Li Xiaoning, figlia dell’ex primo ministro Li Peng, quello di un parente di Jia Qinglin, fino al 2012 membro del Comitato Permanente del Politburo, e quello di Patrick Henry Devillers, architetto e socio in affari di Gu Kailai, moglie dell’ex astro nascente caduto in disgrazia Bo Xilai.

L’elenco dei leader cinesi che hanno collegamenti con società offshore sarebbe ancora più lungo nel caso in cui si tenesse conto anche dei legami con i paradisi fiscali emersi da un’inchiesta analoga di due anni fa, in cui venivano fatti anche i nomi, tra gli altri, di familiari dell’ex presidente cinese, Hu Jintao, e dell’ex primo ministro, Wen Jiabao. All’elenco c’è da aggiungere anche il nome di Wu Jianchang, genero di Deng Xiaoping, il padre delle riforme economiche di Pechino. Le ricerche sui collegamenti tra i leader cinesi e lo scandalo dei Panama Papers sono state bloccate in Cina. Su Baidu, il maggiore motore di ricerca cinese, la ricerca “Panama Papers” non produce risultati, ma solo un avviso in cui si spiega che l’argomento potrebbe essere “non in linea con leggi, regolamenti e politiche” e si consiglia di proseguire utilizzando altri termini. Su Weibo, il Twitter cinese, compaiono, invece, soltanto riferimenti ai casi riguardanti personaggi e leader stranieri. La notizia dei Panama Papers era stata in gran parte ignorata ieri dai media ufficiali. L’agenzia Xinhua aveva citato soltanto un caso minore riguardante la Nuova Zelanda. Per i cittadini cinesi non è illegale costituire società offshore, ma la divulgazione di questo tipo di informazioni costituisce una fonte di imbarazzo per i dirigenti cinesi che stanno portando avanti da oltre tre anni una campagna anti-corruzione che solo lo scorso anno ha punito, in varie forme, circa trecentomila funzionari a tutti i livelli dell’amministrazione pubblica.

Cina, manovra contro obiettivi non occidentali
I Panama Papers costituiscono un precedente poco chiaro, ma rivelano, di base, “obiettivi politici” contro il mondo non occidentale: è questa la reazione cinese alla pubblicazione degli 11,5 milioni di documenti riservati. Per il quotidiano cinese Global Times, vicino al governo, sono un capitolo della battaglia ideologica tra Occidente e Paesi non occidentali che ha nel presidente russo, Vladimir Putin, il bersaglio principale. Nel lungo termine, la disinformazione, come la definisce il giornale cinese in un editoriale pubblicato on line, “diventerà un nuovo mezzo per le nazioni occidentali ideologicamente alleate per colpire le elite e le organizzazioni politiche non occidentali”. Meglio, allora, le rivelazioni di Edward Snowden, che “sembravano più credibili perchè svelate da una riconosciuta talpa”, o anche i Wikileaks, che avevano in Julian Assange “un leader di facciata”. Per quanto riguarda i Panama Papers, invece, “nessuno è chiaramente dietro queste ultime rivelazioni”. Quanto alle ‘vittimè dei Panama Papers, se tra le righe si sprecano i riferimenti a Putin, nessun riferimento, invece, viene fatto dal quotidiano cinese riguardo al coinvolgimento dei parenti di otto leader cinesi, sia del presente che del passato, nel giro di conti offshore gestito dallo studio legale di Panama. Tra questi, anche Deng Jaigui, cognato del presidente cinese, Xi Jinping. L’utilizzo dell’informazione, in casi come quello dei Panama Papers assume quasi le caratteristiche di un complotto per il Global Times, in cui l’Occidente è “felice” di vedere i propri nemici attaccati da rivelazioni di questo tipo. “I media occidentali hanno preso il controllo dell’interpretazione ogni volta che c’è stata una particolare rivelazione di documenti e Washington, su questo, ha dimostrato una particolare influenza – conclude il quotidiano cinese – L’informazione che è negativa per gli Stati Uniti può essere sempre minimizzata, mentre l’esposizione di leader non occidentali, come Putin, può essere ripresa più volte”.

Nella lista anche aziende sanzionate da Onu, una nordcoreana
Ci sono anche aziende che erano colpite da sanzioni internazionali tra i clienti dello studio panamense, Mossack Fonseca, epicentro del planetario scandalo di evasione fiscale. Tra gli 11,5 milioni di documenti emersi, alcuni corrispondono alla società DCV Finance, con sede legale a Pyongyang e registrata nelle Isole Vergini Britanniche dallo studio panamense, rivelano il Guardian e la BBC. Ma Mossack Fonseca ha lavorato in tutto con oltre 30 individui o aziende che erano state colpite dalle sanzioni delle Nazioni Unite o del Tesoro americano: aziende non solo nordcoreane, ma anche dell’Iran o dello Zimbabwe. Nel 2006, la Corea del Nord fece il suo primo test nucleare, il che valse al regime di Pyongyang le prime di una lunga serie di sanzioni del Consiglio di sicurezza dell’Onu. DCB Finance fu registrata nelle Isole Vergini da un uomo d’affari nordcoreano, Kim Chol-Sam e dal banchiere britannico Nigel Cowie, che si era installato in Corea del Nord undici anni prima. (AGI)