Il magistero di un vescovo “non è fatto solo di parole, prediche, omelie, discorsi ma è anche di gesti, di battute, di comportamenti precisi”. Ne è convinto il nuovo arcivescovo di Milano, Mario Delpini, che qualche mese fa, da ausiliare di Milano, commentava con queste parole la visita di Francesco nella capitale morale d’Italia. Il Papa, diceva, “si fa sempre molto vicino alla gente, capace di colpire le emotività delle persone che gli si avvicinano, che desiderano avere un contatto con lui, magari che gli portano il proprio bambino per una benedizione”.
“Allora anche da noi è legittimo aspettarsi un’iniezione di semplicità, di vivacità, un modo di essere pastore del popolo di Dio che abbia questi tratti di spontaneità e di scioltezza”, era stato il suo auspicio.
Parole, che lette oggi, cioè dopo la sua nomina a successore di Sant’Ambrogio, suonano un po’ come un programma per il governo della diocesi più grande del mondo (4 milioni e mezzo di fedeli, 2800 sacerdoti su un territorio vastissimo che comprende quasi tutta la provincia di Milano, quella di Monza e Brianza, la maggior parte delle province di Varese e di Lecco, nonché alcuni comuni nelle province di Como e di Pavia e il decanato di Treviglio in provincia di Bergamo).
Non milanese ma varesotto doc (nato 66 anni fa a Gallarate, ha studiato nella scuola statale di Arona, al Collegio De Filippi, e cresciuto anche spiritualmente nella provincia prealpina, rimasto per tutta la sua carriera sacerdotale in Lombardia) monsignor Delpini è un formidabile battutista. E anche oggi, nonostante la solennità dell’annuncio, non si è trattenuto. “Coloro che mi conoscono penseranno di me: è un brav’uomo, ma addirittura arcivescovo di Milano…”, ha scherzato.
Un sano senso dei propri limiti (che spesso manca ad altri pastori)
“La mia attenzione si concentra sulla mia inadeguatezza al compito che mi è stato assegnato”, ha confidato Delpini ai giornalisti. “Ringrazio il Santo Padre per lo stimolo e l’apprezzamento però – ha ribadito – io sento soprattutto la mia inadeguatezza”. Un’inadeguatezza, ha osservato, che “già si vede dal nome: i vescovi di Milano hanno tutti nomi solenni, Giovanni Battista, Angelo. Invece Mario che nome è? Già si capisce da questo”, ha osservato strappando una risata ai cronisti e al clero raccolto in Curia per l’occasione.
Il “pensiero” di monsignor Delpini è andato quindi “alle sacche di povertà presenti nei nostri territori, alle persone che vengono da altri Paesi, rappresentanti di altre religioni; questo mi fa pensare che la diocesi e la città di debbano interrogare su quale sarà la nostra società del futuro. Devo dire che mi sento un po’ smarrito dinanzi a tutto questo. Credo che dobbiamo imparare ad ascoltare anche le persone che parlano lingue diverse dalla nostra”, così che a Milano “nessuno si senta straniero”.
Il nuovo arcivescovo, del resto, vive alla Casa del Clero, insieme ai sacerdoti anziani, e le battute non si limita a pronunciarle nelle omelie e negli altri interventi: nel 1998 ha pubblicato un libro intitolato “Reverendo che maniere! Piccolo Galateo Pastorale”, con appunti “affettuosi e scanzonati” nei quali invitava a liberarsi “dalle zavorre di un certo clericalismo e dell’efficientismo manageriale”. E aneddoti, racconti, storie di vita, episodi divertenti, li ha raccolti anche in un altro libro intitolato “E la farfalla volò” (Ancora Editrice), contenente 52 brevi apologhi, piccole fiabe per bambini ma capaci di parlare agli adulti.
Il “gemello” del nuovo vicario di Roma
Descritto come un uomo “sobrio e determinato” che va poco d’accordo con i “preti furbi”, monsignor Mario Enrico Delpini da tutti chiamato semplicemente “don Mario”, è il tipico ‘sacerdotè che piace a Papa Francesco. Serio, coerente con le sue decisioni, per nulla incline agli affari mondani, gira per la città in bicicletta (come fa anche il neo vicario di Roma Angelo De Donatis) senza mai dimenticare il casco e la sua borsa. A Delpini, il cardinale Scola. Che oggi ne ha tessuto le lodi, aveva affidato anche la formazione permanente del clero, lo stesso incarico che ricopriva fino al 29 giugno scorso il neo vicario De Donatis, un personaggio che ha le medesime caratteristiche di Delpini (e gli assomiglia anche fisicamente).
In tutti e due i casi Francesco ha seguito come criterio l’identikit del buon vescovo da lui stesso tracciato in vari interventi dopo l’elezione del 2013: gente del popolo, non principi, umili ma determinati nella difesa dei deboli e dei poveri, pastori che non sempre camminano davanti al gregge per quidarlo, e che spesso invece sono in cammino in mezzo al gregge per sostenerlo, e altre volte seguono le pecore, perché si fidano del loro fiuto. Sembra il ritratto di entrambi dei due arcivescovo scelti per Roma e Milano: preti come tutti ne abbiamo conosciuti tanti, non certo degli intellettuali o dei leader politici prestati alla Chiesa.
Una nuova generazione di pastori non protagonisti ma miti, saggi e affidabili
I tratti del pastore semplice e cordiale che caratterizzano Delpini non si stenta a riconoscerli anche in altri uomini scelti da Francesco, a cominciare dal neo presidente della Cei Gualtiero Bassetti, arcivescovo-parroco di Perugia, passando per il segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin (nella foto), che non ama la ribalta mediatica e i toni roboanti, ma che mantenendo anche lui un profilo pastorale sta ottenendo straordinari risultati sul piano diplomatico, dove ha contribuito ad accreditare Papa Francesco come un punto di riferimento riconosciuto da tutti i leader del mondo, come si è visto con la visita in Vaticano del presidente statunitense Donald Trump.
E semplice prete (della diocesi di Milano) è rimasto don Dario Viganò (nella foto), il prefetto del dicastero vaticano che ha piu’ dipendenti e prospettive, la neonata Segreteria per la comunicazione che sta operando, ha detto proprio oggi Viganò, “una gigantesca opera di ristrutturazione” nei media vaticani. Prestigioso critico cinematografico, mantiene in quest’ufficio un profilo in linea col Pontificato, come pure fa il neo portavoce di Papa Francesco, l’americano Greg Burke, membro dell’Opus Dei come lo straordinario portavoce di San Giovanni Paolo II, Joaquin Navarro Valls, deceduto in questi giorni e che in quella stagione fu davvero protagonista, ad esempio come inviato del Papa a Cuba da Fidel Castro e ai vertici internazionali del Cairo e di Pechino.
Una nuova stagione: non servono protagonisti
Oggi la stagione è un’altra e non servono forse protagonisti. Il Papa del resto tra i tanti titoli che gli assegna la tradizione ha scelto quello di “servo dei servi”. E ha detto scherzosamente una volta: “Solo se si hanno seri problemi psichiatrici si può aspirare a diventare Papa!”. “Ecco – ha commentato il 27 maggio monsignor De Donatis presentandosi al clero di Roma come nuovo ordinario – riguardo al diventare vicario di Roma, vi assicuro che io non ho mai avuto di questi problemi psichiatrici! Accolgo questa chiamata del Signore e della Chiesa con umiltà profonda e sincera, consapevole dei miei peccati e dei miei limiti, e mi metto nelle sue mani”. “Sono chiamato in particolare – ha assicurato – a custodire e promuovere la comunione ecclesiale, guidati dal nostro vescovo, Papa Francesco, stretti intorno a lui”. (agi)