Dopo una tra le più brevi crisi di governo della storia, Renzi prepara la rivincita a Firenze e entra nel vivo il dibattito sulla nuova legge elettorale
La sconfitta del Sì al referendum sulla riforma costituzionale ha provocato le dimissioni del presidente del Consiglio Matteo Renzi e una mini-crisi di governo che si è risolta in poco più di tre giorni. L’ex premier, che tanto si era speso a favore della riforma della Costituzione, non ha potuto fare altro che prendere atto della sonora bocciatura decretata dagli italiani, dopo che al referendum del 4 dicembre scorso ha vinto il No con oltre il 59% delle preferenze. Il referendum si è infatti trasformato in un voto su Renzi: il passo successivo alla sconfitta è stato dunque quello di rassegnare le dimissioni. Nella sua Firenze l’ex premier sta preparando il terreno in vista delle prossime elezioni politiche, alle quali si giocherà il tutto per tutto in una competizione elettorale che assumerà i contorni di un’autentica resa dei conti.
La crisi di governo aperta dalle dimissioni di Renzi è stata tra le più brevi della storia. A capo del nuovo esecutivo è stato nominato Paolo Gentiloni, che nel governo Renzi aveva ricoperto il ruolo di Ministro degli Esteri. Nonostante la sconfitta referendaria abbia assunto un significato marcatamente politico, Gentiloni ha scelto una squadra che incarna l’assoluta continuità con il governo Renzi. Basti pensare che l’ex Ministro Maria Elena Boschi, madrina della riforma costituzionale cassata dagli italiani, è stata perfino promossa nel ruolo di sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Sono solo due i volti nuovi dell’esecutivo, quello del Ministro dell’Istruzione, Valeria Fedeli, e quello del Ministro ai Rapporti con il Parlamento, Anna Finocchiaro. Tutti gli altri esponenti del governo Gentiloni facevano già parte del governo Renzi: 12 ministri sono rimasti a guidare lo stesso dicastero e altri 5 hanno soltanto cambiato ufficio. Tra questi ultimi, oltre alla Boschi – che ha lasciato il Ministero delle Riforme per approdare a Palazzo Chigi – figura Angelino Alfano, che è passato dall’Interno agli Esteri. Ci sono poi tre ex sottosegretari alla presidenza del Consiglio che sono diventati ministri: Marco Minniti è andato agli Interni, Claudio De Vincenti alla Coesione Territoriale e al Mezzogiorno, Luca Lotti allo Sport con deleghe su Editoria e CIPE. Tutti confermati gli altri membri del governo: Marianna Madia alla Pubblica Amministrazione, Enrico Costa agli Affari Regionali, Andrea Orlando alla Giustizia, Roberta Pinotti alla Difesa, Pier Carlo Padoan all’Economia, Carlo Calenda allo Sviluppo Economico, Maurizio Martina all’Agricoltura, Gianluca Galletti all’Ambiente, Graziano Delrio alle Infrastrutture, Beatrice Lorenzin alla Salute, Dario Franceschini alla Cultura, Giuliano Poletti al Lavoro.
Gli scenari futuri
Il nuovo esecutivo rappresenta un governo di transizione che, in teoria, avrebbe il compito di traghettare il Paese verso l’approvazione di una nuova legge elettorale e subito dopo verso nuove elezioni. In realtà è un governo saldamente nelle mani di Renzi, che lo ha investito del compito di preparare il terreno in vista della prossima battaglia elettorale. Un primo snodo sarà rappresentato dal congresso del Partito Democratico: Renzi potrebbe mantenere la leadership, ma potrebbe anche essere sconfitto da una nuova maggioranza interna che a quel punto eleggerebbe un nuovo segretario.
L’altro aspetto fondamentale, sul quale si gioca il futuro politico non solo di Renzi, è quello della legge elettorale: l’Italia al momento ha due leggi elettorali diverse, e apparentemente incompatibili, per Camera e Senato. Per il Senato è ancora in vigore il cosiddetto Consultellum, ovvero il vecchio Porcellum corretto sulla base delle indicazioni della Corte Costituzionale. Per le elezioni alla Camera c’è invece l’Italicum, il nuovo sistema elettorale concepito dal governo Renzi soltanto per questo ramo del parlamento, con un forte premio di maggioranza per lo schieramento che ottiene più voti. Sull’Italicum pende il giudizio della Consulta, che sarà chiamata ad esprimersi il 24 gennaio. Molto dipenderà da quel parere. La scadenza naturale del governo Gentiloni è la fine del 2017, ma Renzi potrebbe essere tentato dall’idea di giocarsi il tutto per tutto con un voto anticipato, già nel prossimo febbraio o nella primavera del 2017, eventualmente anche andando alle elezioni con due leggi elettorali diverse. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella non sembra disposto ad assecondare scorciatoie e salti in avanti, tanto che nel messaggio di fine anno ha sottolineato la necessità di non dare vita a pasticci e di dotare il Paese di una legge elettorale omogenea per le due camere.
Il dibattito sulla legge elettorale
Sulla legge elettorale le principali preoccupazioni, tanto del centrodestra quanto del centrosinistra, sono quelle di individuare meccanismi in grado di frenare l’avanzata del Movimento 5 Stelle, che è in continua ascesa nei sondaggi. Una formula magica, tuttavia, non esiste. L’Italicum era stato pensato al tempo dei fasti renziani, quando l’ex premier, sopravvalutando la portata dei suoi consensi, aveva immaginato una legge elettorale che consentisse al suo PD di accaparrarsi un’ampia maggioranza alla Camera, pur in presenza di una quota di preferenze decisamente inferiore. Un piano che, naturalmente, dava per scontata la vittoria del Sì al referendum e il conseguente superamento del Senato elettivo, che la riforma costituzionale avrebbe trasformato nel Senato delle regioni. Adesso, dunque, si riparte da zero e il PD ha già accantonato l’Italicum per lanciare la nuova opzione, che in realtà non è altro che il vecchio Mattarellum.
È stato proprio Renzi, durante l’assemblea nazionale del 18 dicembre scorso, a rispolverare il Mattarellum, specificando che tale sistema necessiterebbe comunque di alcune correzioni: le nette chiusure del Movimento 5 Stelle e di Forza Italia sembrano però sbarrare la strada a questa ipotesi. Più realistica, a questo punto, la pista che porta verso il ritorno ad una legge elettorale con sistema proporzionale, che piace a Forza Italia, ad una parte del PD, ai tanti piccoli partiti e fino a qualche tempo fa era anche la legge preferita del M5S. Naturalmente, se passasse questa opzione, verrebbe inserito uno sbarramento all’ingresso, per contenere la frammentazione del quadro politico. Al momento l’ipotesi proporzionale è quella che offre maggiori probabilità di trovare un accordo in parlamento. D’altra parte, però, risulterebbe particolarmente difficile dare vita a maggioranze autonome: né il centrodestra né il centrosinistra e né il M5S avrebbero infatti i numeri per andare al governo da soli. Ciò comporterebbe la creazione di due ampie coalizioni contrapposte: da una parte uno schieramento conservatore, di centro, egemonizzato dagli eterni rivali di un tempo, ovvero PD e Forza Italia; dall’altra uno schieramento anti-sistema, anti-euro e anti-establishment, frutto dell’incontro tra il M5S di Grillo e la Lega di Salvini, di matrice tipicamente populista. Sempre che nel frattempo non sia già spuntato il Partito della Nazione targato Matteo Renzi.
Il vocabolario del dibattito sulla legge elettorale
Consultellum: Sistema elettorale di tipo proporzionale, con soglie di sbarramento del 2% per i partiti coalizzati e del 4% per quelli non coalizzati. È attualmente in vigore solo per il Senato e accoglie le indicazioni contenute nella sentenza della Corte Costituzionale, che nel gennaio 2014 ha dichiarato incostituzionali sia il premio di maggioranza che le liste bloccate senza preferenze, approvate precedentemente con la legge Calderoli, nota anche come Porcellum.
Italicum: Legge elettorale entrata in vigore, soltanto per la Camera, nel 2016. Prevede un sistema proporzionale a doppio turno, con premio di maggioranza del 54% alla lista in grado di raggiungere il 40% dei voti, soglia di sbarramento del 3% e ballottaggio tra le due liste più votate se nessuna dovesse raggiungere la soglia del 40%.
Mattarellum: Sistema di voto che ha riformato la legge elettorale, in seguito al referendum dell’aprile 1993, sia per la Camera che per il Senato. Prevede che con il sistema dei collegi uninominali si elegga il 75% di deputati e senatori. Il rimanente 25% viene eletto con sistema proporzionale, solo tra i partiti che hanno superato la soglia di sbarramento del 4%. Un meccanismo di compensazione noto come “scorporo” consente il recupero proporzionale dei candidati più votati non eletti al Senato.