E’ stata una decisione su cui non si puo’ tornare, la forma repubblicana dello Stato non puo’ essere oggetto di revisione costituzionale. Lo stabilisce la Carta, ed e’ l’unico argomento riguardo al quale i padri costituenti non ammisero nemmeno la piu’ remota eventualita’ di riaprire il dibattito. Mai e poi mai: dopo il referendum del 2 giugno 1946 la monarchia non puo’ tornare. Tanta severita’, che per decenni si e’ tradotta anche nel divieto di rientro nel Paese degli eredi maschi di casa Savoia, ha una sua ben precisa spiegazione. Questa: il Paese non e’ piu’, dopo il 1945, quello scaturito dal Risorgimento, ma anche e soprattutto quello nato dalle ceneri della guerra, consumatesi in un giorno di tremendo sbandamento – era l’8 settembre 1943 – ben rappresentato dalla fuga di Vittorio Emanuele III di Savoia. Dagli ozi ventennali al Quirinale verso l’isolamento di Salerno. Fuggire lasciando l’esercito senza ordini, ed il Paese senza una guida. Fu cosi’ che la casa che Umberto Biancamano costrui’ divenne la casa che addosso a Umberto II crollo’. Re per il solo mese di maggio, chiuse con dignita’ ma anche poca gloria una storia dinastica durata mille anni, segnata peraltro anche da pagine di assoluto fulgore. Un Savoia era quell’Emanuele Filiberto detto Testa di Ferro che, nella giornata di San Quintino, umilio’ i francesi del Montmorency dando agli Asburgo la vittoria definitiva in quella guerra quarantennale che li aveva opposti, nei campi di tutta Europa, ai Valois. Sangue Savoia aveva anche quel Marcantonio II Colonna cui la cristianita’ deve la vittoria piu’ grande nel momento del piu’ grande pericolo, quando mando’ a fondo le galere ottomane concentrate nelle acque di Lepanto.
Nobilta’ vera, a 18 carati, che trovo’ la sua apoteosi in una notte di dicembre in cui Vittorio Emanuele II, giunto da poche ore da Firenze, pote’ affacciarsi a salutare una piccola folla che si era adunata sotto le finestre del Quirinale. Roma era sconvolta da una delle piu’ tremende piene del Tevere di tutta la sua storia. I Savoia accorsero vicino ad un popolo divenuto loro suddito appena da due mesi, ed acquistarono cosi’ grande seguito. Ma tanto credito, nel corso degli anni, non venne per niente capitalizzato, o almeno mantenuto. Accanto ad una grande tradizione militare, infatti, i Savoia conservano anche una meno nobile abitudine. “He is a ditherer”, scriveva proprio di Vittorio Emanuele II il ministro inglese a Torino prima del 1861, “E’ un indeciso”. E dire indeciso di qualcuno, per un inglese dell’Ottocento, era insulto che implicava la piu’ assoluta disistima (ben diverso era infatti il giudizio su Cavour). Ma ci si poteva aspettare qualcosa di diverso dal successore di un sovrano come Carlo Alberto, passato alle cronache con il nomignolo di “Re Tentenna” affibbiatogli dagli scalpitanti campioni della Carboneria? No, di questione di sangue si tratta, e la voce indecisa del sangue alla fine porto’ il nipote ed omonimo del primo re d’Italia a mostrarsi per lo meno irresoluto nei confronti degli obbrobri del fascismo. Il primo tra tutti fu l’avallo delle leggi razziali, sicuro, ma in realta’ l’elenco e’ lungo, a partire dall’aver tollerato la nascita del regime, l’eliminazione delle liberta’ parlamentari, infine la repressione di ogni dissenso politico. Olio di ricino e manganello contro i crani refrattari alla Piero Gobetti, mentre Sua Maesta’ non interviene.
Storici molto quotati sostengono con ottime ragioni che in realta’ il rapporto tra Mussolini e Vittorio Emanuele III fosse ben piu’ complesso della semplice sudditanza, perche’ in realta’ il sovrano alla guerra, ad esempio, era ben contrario. Ma lo stesso sovrano aveva accettato l’investitura dalle mani del Duce condottiero dell’Impero d’Etiopia, e da quel momento appariva ormai irrimediabilmente colluso con il Ventennio. Politica e ricerca storica spesso seguono ragioni e logiche diverse, e non si puo’ pretendere che, al momento di votare nel 1946, si andasse troppo per il sottile. Tanto piu’ che i partiti antifascisti, nuove centralita’ emerse dall’opposizione al regime e dalla Resistenza, erano quasi tutti schierati in blocco contro i Savoia. Unica eccezione la Democrazia Cristiana, che alla fine dette liberta’ di coscienza ai propri elettori. Verrebbe da dire: da una dinastia di indecisi al partito dell’indecisione. In realta’ De Gasperi, cui il fiuto politico non mancava di certo, non aveva ne’ voglia ne’ intenzione di creare una frattura all’interno di una compagine che si preparava non tanto a governare la nuova Italia, quanto ad impersonificarla. Evitando una frattura che avrebbe bloccato la crescita della Dc pose le basi per il futuro e venne premiato la sera stessa del referendum. Non solo per la sconfitta dei Savoia (lui non volle mai dire per chi aveva votato, ma era tra le vittime dell’attenzione del fascismo e dell’indifferenza reale), quanto semmai per gli esiti delle elezioni della Assemblea Costituente, che si erano svolte nello stesso momento.
Questi i risultati della consultazione del primo vero organo parlamentare dopo un silenzio durato quattro lustri: Dc 35 percento e 207 seggi su 255; Psiup 20 percento e 115 seggi, Pci 19 e 104 seggi, tutti gli altri a seguire. Erano definitivamente nati i partiti di massa, e tra le masse spiccava quella femminile: per la prima volta si era votato a suffragio universale. Un benvenuto all’altra meta’ d’Italia. Gli esiti del referendum istituzionale, invece, vennero poco regalmente contestati fin da subito dai monarchici, e la leggenda nera dei brogli continua ad avere i suoi estimatori a 70 anni di distanza, alimentata da quella propensione alla dietrologia che gia’ Manzoni indicava tra le caratteristiche negative del nostro carattere nazionale. A conti fatti la Repubblica ebbe il 54,3 percento dei suffragi, la Monarchia il 45,7. Quando la Cassazione lo annuncio’, Umberto II fece sapere che per lui la maggioranza da calcolare non era sui voti espressi, ma sugli aventi diritto. Quindi, nessuna vittoria per i repubblicani. C’e’ da perdonargli tanta ignoranza delle regole democratiche: in fondo l’Italia dei Savoia si era di fatto fermata, dal punto di vista elettorale, ai tempi della Legge Acerbo. Per svelenire il clima e’ necessaria a questo punto una parentesi di carattere cinematografico: alla sera della proclamazione dei risultati del 2 Giugno e’ dedicata una delle piu’ riuscite performance di Alberto Sordi, affiancato per l’occasione da una affascinante Lea Massari. Il film e’ “Una vita difficile”, una piccola perla consegnata alle sale italiane da Dino Risi nel 1961. Si trova tutto su Youtube.
Il duello tra il discendente di Testa di Ferro e il figlio della guardia municipale di Trento duro’ diversi giorni, fino a quando De Gasperi, che nel frattempo aveva assunto i poteri temporanei di Capo dello Stato, disse a Umberto che, a continuar cosi’, “entro stasera uno di noi due sara’ a Regina Coeli”. Era chiaro che l’arrestando non sarebbe stato lui. Il giorno dopo Umberto saliva su un volo privato per Cascais. La nuova Italia quel giorno si affaccio’ alla Storia simboleggiata da una bellissima ragazza mora, antesignana di un Neorealismo prossimo ad esplodere nei cinema, che alza sopra la testa l’annuncio della nascita della Repubblica urlato su nove colonne dal Corriere della Sera. Gioia di un giorno in mezzo a tempi duri: ci sarebbero voluti diversi anni per ricostruire il Paese. Nel frattempo l’Assemblea Costituente stendeva la Carta che sarebbe entrata in vigore nel 1948, senza bisogno di alcun referendum confermativo. Di quegli anni Giorgio Napolitano ha ricordato recentemente l’aspro insorgere della Guerra Fredda e l’incipiente scontro tra i blocchi e tra i partiti italiani. Oscar Luigi Scalfaro, che della Costituente era stato parte, aveva un ricordo ben diverso: “Massima dialettica quando si trattava di amministrare il Paese, ma poi tutti insieme si scriveva la Costituzione”. Una Costituzione profondamente condivisa, che in molti oggi amano definire “la piu’ bella del mondo”. Chissa’ se lo e’ davvero. Di sicuro ha il volto di una giovane donna dal sorriso radioso che agita una pagina di giornale su cui e’ scritto, a caratteri di cassetta, “E’ nata la Repubblica Italiana”.(AGI)