Dai maestri dell'alpinismo al Cai: niente sanzioni, lasciateci fare le nostre scelte
BRESSANONE (Bolzano) – Nuovi limiti? Nuove regolamentazioni? Nuove sanzioni? Gli alpinisti dicono no, e lo dicono in coro. Sia per quanto riguarda le ascensioni sulle pareti rocciose, difficili quanto si vuole, rischiose quanto si vuole, sia per quanto riguarda lo sci alpinismo sulle cime innevate. Vogliamo essere liberi di rischiare, lo facciamo coscientemente, dicono in sostanza. Non senza la dovuta preparazione e responsabilità, s'intende, ma nessuno può dirci di non andare.
LIBERTÀ DI RISCHIARE – Il tema della libertà di rischiare è stato al centro del dibattito a Bressanone, dove si sono dati appuntamento, all'International Mountain Summit grandi nomi dell'alpinismo internazionale (tra gli altri Hans Kammerlander, Reinhold Messner, Nives Meroi, Mick Flowler) che fino a domenica continueranno a discutere sulle problematiche legate alla montagna. Così Alexander Huber che assieme al fratello Thomas, è ritenuto uno degli alpinisti più completi al mondo, non ha esitato ad affermare: «Per me il pericolo è il sale della vita, corro consapevolmente dei rischi, perché solo in questo modo posso assaporare e sentire la vita come non potrei altrimenti, e per questo faccio fatica a rinunciarvi», ha detto, come riportato dal Corriere dell'Alto Adige, «ma ritengo anche che è solo attraverso il rischio, che si può acquisire esperienza, e migliorare se stessi. Direi che il rischio è una necessità per l'essere umano».
INCIDENTI – Ma come la mettiamo allora con la continua serie di incidenti, d'estate e d'inverno, dalle Alpi all'Himalaya, che fanno porre molti interrogativi persino sull'opportunità di correre in soccorso di chi si è messo in pericolo? Lo scorso inverno, dopo la morte in val di Fassa di quattro componenti del soccorso alpino impegnati nella ricerca di due escursionisti imprudenti (morti anche loro) si parlò di sanzioni, restrizioni, limiti e divieti. Con una polemica che coinvolse lo stesso capo della Protezione civile, Guido Bertolaso. Dal dibattito è emerso che se da un lato una grande fetta del popolo del tempo libero sente il bisogno di avventura e «sballo», dall'altro spesso mancano l'esperienza necessaria per farlo, il senso di responsabilità personale e una consapevole relazione dei singoli con il rischio.
REGOLE – Ma di ulteriori regole allo stesso Club alpino italiano (come per altro le analoghe associazioni europee) non ne vogliono sapere: «Non esistono leggi dello Stato né leggi regionali che regolamentano l'alpinismo», dice l'avvocato Vincenzo Torti, vice presidente del Cai. «Tutti fanno riferimento alla normativa civile e penale generali. Gli alpinisti dicono: lasciatici assumere la nostra dose di rischio, è una libera scelta e vogliamo che nessuno ce lo impedisca. Dobbiamo però ricordare a tutti che il rischio in montagna non si elimina». Diverso è il caso dei professionisti della montagna, guide alpine e accompagnatori: «Non si può portare un bambino che ha appena messo gli sci su una pista nera», continua il vice presidente, «né portare su una via di quarto grado chi ha appena messo le mani sulle roccette. Se c'è un grande pericolo di valanghe e il sindaco ordina che in quella zona non ci vada nessuno, va bene. Ma bisogna stare attenti perché il passo è breve: se per esempio una via alpinistica è difficile, ma diciamo che non si può andare ad arrampicare, questo non va bene né agli alpinisti né al Cai, va garantita una libera scelta». Cosa fare allora? Carlo Zanantoni, rappresentante del Cai e delegato al Comitato europeo di normazione (Cen) per l'Italia, dice: «Il rischio in montagna c'è e va affrontato con molto senso di responsabilità».
Fonte: www.corriere.it