Comunità Italiana

I nuovi barbari

Il terzo mondo fa shopping in Italia

Il nostro splendido Rinascimento terminò con l’arrivo dei lanzichenecchi, germanici venuti dal Nord al soldo di nobili luterani. Saccheggiarono l’Italia per decenni. Seguirono secoli di furti, rapine e distruzioni; parte del patrimonio dell’arte italica andò perduto. Tra i saccheggiatori insigni delle bellezze italiche si distinse Napoleone che, tra una campagna militare e l’altra, trovò il tempo di scegliere, sequestrare e inviare a Parigi un grande numero di opere d’arte. Umiliato dai soprusi, l’orgoglio italico s’impennò con il Risorgimento: l’arte fu costudita con maggior cura. Ad allargare le maglie che tentavano fermare il volo verso lidi lontani delle nostre cose belle ci pensarono i nostri grandi e esperti raddrizzatori di banane che hanno governato l’Italia nell’ultimo ventennio. Essi non seppero raccogliere la sfida della globalizzazione; seppero però, e molto bene, difendere le loro parrocchiette personali. Le loro inconsistenti politiche economiche e industriali crearono pessimismo e scoraggiarono le capacità imprenditoriali degli italiani. Gli imprenditori meno coraggiosi e pazienti vendettero allo straniero molti gioiellini che avevano costruito. Preferirono vivere di finanza godendosi la vita. Presero cosí il volo per Parigi vari marchi dell’alta moda, tra cui Bulgari, Gucci e Valentino, volò in Olanda il marchio Safilo, e persino Dubai fece shopping in Italia comprando il marchio Ferrè. Saccheggiate furono la grande distribuzione, che perdette Coin e Standa, e naturalmente l’ambita industria alimentare, che perdette marchi famosi come Algida, Bertolli, Riso Flora, Buitoni, Motta, Perugina, Fiorucci, Olio Sasso ecc. Le multinazionali Unilever e Nestlè hanno fatto man bassa. I paesi industrializzati, nostri concorrenti, non furono i soli clienti dello shopping: l’ex terzo mondo, un tempo schiavo, divenne padrone e sta comprando l’occidente a prezzo di saldo. Così la Cina si compra la Ferretti Yacht e la Cifa, la Malesia compra la Selenia, il Sudafrica si aggiudica la Birra Peroni, l’Egitto la Wind e la Turchia sventola il marchio Lumberjack. L’acquisto della Cifa da parte della cinese Zoomlion è un capolavoro di politica impresariale: l’impresa cinese produce gli stessi macchinari di Cifa ma non è in grado di produrre con il suo livello di qualità. Allora la compra, ottenendo due magistrali risultati: a) completa la sua gamma con i prodotti di altissima qualità che le mancavano e b) trova pronta una efficiente rete di distribuzione in Europa, dove faticava a entrare. Ci fu un tempo in cui lo straniero si pigliava le nostre opere d’arte. Oggi si piglia ciò che abbiamo: i marchi di valore che il mercato cerca e compra. E allora la turca Ziylan, che produce calzature di qualità e design discutibili, compra Lumberjack e con questo marchio finirà col vendere anche le sue scarpe. Non importa dove esse saranno prodotte; certamente non in Italia. Lo straniero non ama produrre in Italia, scoraggiato da burocrazia, corruzione, fisco iniquo e magistratura inefficiente: investe solo per vendere nel nostro mercato e allora compra magazzini e sedi commerciali: 7 miliardi in pochi anni. Invidia però il nostro stile di vita e allora compra ville e casali per venirci a vivere: 9 miliardi nello stesso periodo.
L’Italia ha accumulato negli ultimi 20 anni un debito pubblico gigantesco che condiziona, in varie forme, ogni iniziativa di crescita che richieda investimenti. Si discute se, e come, vi sia la possibilità di pagarlo, naturalmente solo in parte. Lo Stato possiede un ingente patrimonio immobiliare che potrebbe essere venduto. Ma le nostre vecchie caserme abbandonate non interessano a nessuno. D’altra parte non possiamo vendere le nostre industrie. E allora cosa abbiamo di attraente da offrire? I nostri stupendi litorali? Il Colosseo o Pompei? La bellissima Valle D’Aosta, regalando come buon peso il discutibile Ingroia, giudice a Aosta? Potremmo cedere l’Alto Adige agli austriaci, già che gli altoatesini si sentono più tedeschi che italiani. Oppure vendere la bellissima Sardegna, aggiungendo gratis la villa di Berlusconi e il Billionaire. Potremmo anche vendere la Sicilia ai cinesi: hanno soldi e la pagherebbero molto bene per crearsi una testa di ponte in Europa. Non me ne vogliano i siciliani, ma forse potrebbe essere una soluzione anche per loro.