Bill Gates vuole tassarli. Stephen Hawking paventa già scenari alla Terminator. Quel che è certo è che l’arrivo degli automi nelle catene di montaggio sarà la problematica più grave e complessa che il mondo del lavoro dovrà affrontare nei prossimi decenni. Come avviene per ogni grande rivoluzione tecnologica, c’è chi è ottimista e sostiene che le macchine aumenteranno la produttività complessiva, con benefici diffusi per tutti, e chi ritiene invece che l’effetto sarà una sostituzione netta della manodopera umana. Uno studio pubblicato di recente di Daren Acemoglu del MIT e Pascual Restrepo della Boston University sembrerebbe dare ragione agli “apocalittici”.
I due economisti hanno tentato di quantificare l’impatto dell’automazione industriale sull’occupazione e i salari, esaminando i dati relativi al mercato del lavoro statunitense dal 1990 al 2007. La ricerca conclude che ogni robot aggiunto a un distretto industriale ha ridotto l’occupazione nell’area di un numero di lavoratori da tre a sei e ha abbassato complessivamente le retribuzioni di una percentuale tra lo 0,25% e lo 0,5%. I robot ci ruberanno il lavoro e lo stanno già facendo, sembra emergere dal lavoro di Acemoglu e Restrepo. Ci sarebbe quindi poco da stare sereni, considerando che, secondo la International Federation of Robotics, sono già operativi in tutto il mondo oltre 1,5 milioni di robot industriali. Un numero destinato almeno a raddoppiare entro il 2025.
Negli Stati Uniti a impiegare di automi è soprattutto il settore dell’auto, che utilizza il 39% dei robot industriali utilizzati negli Stati Uniti. I dati del 2014 danno un rapporto di 117,7 robot ogni mille lavoratori. Seguono, molto distaccati, l’elettronica da consumo (13,1 robot ogni mille lavoratori) e le industrie chimica e metallurgica (rispettivamente 9,9 e 8,3 robot per lavoratore). L’automazione è invece pressoché inesistente nei comparti cartiero e tessile.(AGI)