Per i paesi che vogliono competere a livello globale, le start up rappresentano un tessuto economico fondamentale. Dalle esperienze americane della Silicon Valley, il fenomeno si è velocemente diffuso in tutto il mondo, promuovendo un modello di impresa basato su idee innovative che vengono finanziate da investitori che decidono di puntare su uno specifico progetto emergente. Attraverso il tessuto delle start up si intende promuovere la crescita sostenibile, lo sviluppo tecnologico e l’occupazione, in particolare quella giovanile, rafforzando i legami tra università e imprese, e una più forte capacità di attrazione di talenti e capitali esteri. In altre parole, le start up sono quelle aziende che più delle altre sono proiettate nel futuro.
In Italia sono una realtà dal 2012, ovvero da quando il decreto “Crescita 2.0” è stato approvato dal Parlamento. Oggi, a quattro anni di distanza, possiamo affermare che in Italia il mercato delle start up è in netta crescita, anche in confronto con gli altri Paesi europei. Certo, si tratta di un mercato ancora piccolo, ma che si sta rivelando vitale e in rapida ascesa: +11% di crescita nel 2015 rispetto al 2014 e un giro di affari che nel 2013-2014 è cresciuto del 208% rispetto al biennio precedente. Nessun altro paese cresce di più in Europa su questo settore.
Secondo una recente ricerca promossa dalle Camere di Commercio e dal Ministero dello Sviluppo Economico, a settembre 2016, il numero di start up italiane è pari a 6.363, un aumento di 420 unità rispetto alla fine di giugno (+7,07%). Ma c’è ancora molta strada da fare se consideriamo che, oggi, le start up rappresentano lo 0,4% del milione e mezzo di società di capitali attive in Italia. La ricerca mette però in evidenza alcuni numeri interessanti per il panorama italiano: il 70,52% delle start up del nostro Paese fornisce servizi alle imprese, in particolare nel campo della produzione di software e nella consulenza informatica.
Le imprese chiedono la riduzione della burocrazia e agevolazione fiscale
Venendo alla distribuzione geografica del fenomeno, la Lombardia è la regione in cui è localizzato il maggior numero di start up: 1.382, pari al 21,72% del totale nazionale. Seguono l’Emilia-Romagna con 782 (12,29%), il Lazio 625 (9,82%), il Veneto 492 (7,73%) e la Campania 404 (6,35%) che, per la prima volta, è entrata tra le prime cinque, superando il Piemonte. In valore assoluto Milano è la provincia in cui è insediato il numero più elevato di start up innovative: 935, pari al 14,69% del totale nazionale. Seguono Roma con 539 (8,47%), Torino con 299 (4,7%), Bologna con 203 (3,19%) e Napoli con 202 (3,17%).
Le start up a prevalenza giovanile in Italia sono 1425, il 22,4% del totale, una quota più di tre volte superiore rispetto a quella rilevata tra tutte le società di capitali (6,85%). Le start up innovative in cui almeno un giovane è presente nella compagine sociale sono 2.430 (38,19% del totale, contro un rapporto del 13,36% se si considera la totalità delle società di capitali italiane).
L’analisi sul mercato italiano delle start up è quindi complessivamente positiva. L’Italia, partita in ritardo, è ora in netta crescita e sta recuperando in fretta il terreno perduto rispetto ai propri competitors europei. Il Belpaese possiede talenti e capacità, giovani che tra mille difficoltà provano a mettersi in gioco accettando la sfida della competizione globale.
Si potrebbe fare di più. Ad esempio, sul fronte normativo, sarebbero necessari due interventi urgenti: in primis ridurre l’impatto della burocrazia, semplificando ancora di più il sistema. In secondo luogo è necessario intervenire sul versante fiscale, aumentando le agevolazioni per imprese e investitori, portandole per lo meno allo stesso livello degli altri Paesi europei, per fare in modo che l’Italia possa concorrere ad armi pari nella sfida della competizione.