L’ex presidente dell’Eni venne ucciso in un attentato nell’ottobre di 53 anni fa: la sua morte è uno dei grandi misteri dell’Italia repubblicana
E’ il 27 ottobre del 1962. A Bescapè, un piccolo paesino in provincia di Pavia, piove a dirotto. Poco dopo le 19.30 la quiete della sera viene squarciata da un boato. Un aereo, il Morane-Saulnier MS-760, si schianta al suolo, mentre è in fase di manovra nel tentativo di raggiungere l’aeroporto di Milano Linate. A bordo ci sono il presidente dell’Eni, Enrico Mattei, il giornalista e capo dell’ufficio romano di Time-Life, William Mac Hale e il pilota Irnerio Bertuzzi. L’intero equipaggio perde la vita. Alcuni testimoni, poche ore dopo la tragedia, riferiscono di avere visto l’aereo esplodere in volo. Uno dei più attendibili e convinti sembra essere il contadino Mario Ronchi che però, in seguito, ritratterà la sua deposizione. Si apre uno dei principali misteri che caratterizzeranno la tormentata storia dell’Italia repubblicana. La prima inchiesta, in seguito alle indagini svolte dall’Aeronautica militare italiana e dalla Procura di Pavia, viene chiusa con una fretta sospetta: sono sufficienti quattro mesi per escludere l’ipotesi dell’attentato e concludere che la responsabilità del disastro è da attribuire alle condizioni psicofisiche del pilota e a problemi tecnici.
Nel 1997, però, il rinvenimento di ulteriori reperti, sottoposti all’analisi delle nuove tecnologie, fa riaprire le indagini, che si concludono nel 2003: si giunge alla conclusione che l’aereo “venne dolosamente abbattuto”, in virtù dell’esplosione, avvenuta nella cabina di pilotaggio, di una carica di circa 100 grammi di Comp B, sita probabilmente dietro il pannello degli strumenti, in corrispondenza dei comandi del carrello d’atterraggio. Nel 2005 il giudice delle indagini preliminari di Pavia, Fabio Lambertucci, accoglie la richiesta di archiviazione presentata dalla Procura: la giustizia italiana conferma che la morte di Mattei è avvenuta a causa di un attentato. L’ipotesi formulata dagli inquirenti è che il sabotaggio sia stato reso possibile dalla complicità di esponenti dell’Eni e dei servizi segreti italiani, ma la Procura di Pavia ritiene che sia passato troppo tempo e che dunque non esistano più le condizioni per individuare e punire i mandanti. Il sostituto procuratore Vincenzo Calia, che aveva riaperto il caso, afferma che “l’attentato venne pianificato quando fu certo che Enrico Mattei non avrebbe lasciato spontaneamente la presidenza dell’ente petrolifero di Stato”. Una trama che si infittisce ulteriormente sulla scorta di una sentenza del 2012, pronunciata dalla Corte d’assise di Palermo: secondo i giudici siciliani il giornalista Mauro De Mauro, rapito dalla mafia nel 1970 e mai più ritrovato, è stato ucciso perchè stava per divulgare quanto aveva scoperto sulla morte di Mattei.
Mattei lavorò nell’interesse del Paese e aveva allestito rapporti diretti con la Russia e l’Iran
Ancora oggi, a 53 anni dalla morte dell’ex numero uno dell’Eni, non è stata fatta piena luce sull’attentato avvenuto alle porte di Pavia. Il quadro storico e giudiziario che si è andato affermando nel corso degli anni, ha però lasciato emergere una verità inconfutabile: dietro a quell’attentato si sono coagulate alcune delle forze più oscure che hanno caratterizzato la storia d’Italia a partire dal dopoguerra. Enrico Mattei era un personaggio scomodo: integerrimo e incorruttibile, lavorò nell’interesse del Paese, arrivando a mettere a repentaglio gli interessi delle superpotenze del petrolio. Nato nel 1906 in un piccolo paesino delle Marche, durante la seconda guerra mondiale diventò una figura di primo piano della Resistenza contro l’occupazione nazi-fascista. Nel 1945, al termine del conflitto bellico, venne nominato commissario liquidatore dell’Agip, ma disattendendo il mandato ricevuto, trasformò l’Agip, che dal 1952 assunse il nome di Eni, in una multinazionale del petrolio capace di trainare il “miracolo economico” italiano.
A quell’epoca i colossi del settore energetico, quasi esclusivamente statunitensi, detenevano un monopolio nella fornitura del petrolio all’Europa occidentale. Mattei, che non amava sottostare a limiti e imposizioni, e che intendeva perseguire l’interesse nazionale, studiò a fondo i comportamenti commerciali delle principali compagnie del settore e scelse di tuffarsi nella competizione relativa al mercato dell’approvvigionamento. Il numero uno dell’Enidecise di muoversi da indipendente, cercando nuovi accordi per svincolare l’Italia dal ricatto straniero. Una strategia che iniziava a dare i suoi frutti, dal momento che Mattei riuscì ad instaurare rapporti diretti sia con lo Scià di Persia che con la National Iranian Oil Company, ottenendo una concessione a condizioni particolarmente favorevoli per l’Iran. In tal modo, però, suscitò il risentimento e l’inimicizia delle “sette sorelle”. Mattei rivendicava condizioni di non discriminazione, di parità di trattamento e di sviluppo non condizionato da interessi stranieri. Una delle sue maggiori intuizioni fu proprio quella di ragionare in prospettiva, immaginando uno scenario futuro nel quale i Paesi arabi, nel quadro dell’ampio processo di decolonizzazione, avrebbero esautorato le “sette sorelle” dell’oligopolio petrolifero. Le “sette sorelle”, però, avrebbero venduto cara la pelle e nel frattempo Mattei era diventato un loro nemico.
I rapporti con gli USA e l’oligopolio petrolifero sempre più tesi
I rapporti con gli Stati Uniti si fecero sempre più tesi, anche perchè l’Eni, unico concorrente in grado di mettere in difficoltà l’inossidabile cartello del petrolio, aveva già costretto le “sette sorelle” a rivedere tutti gli accordi, compresi quelli pre-esistenti, per il semplice fatto di essere sul mercato. Considerando che le perdite causate da Mattei, in termini di minori introiti per i colossi stranieri, superavano il bilancio medio di molti Stati e in virtù degli stretti legami che sono sempre esistiti tra le “sette sorelle” e il governo degli Stati Uniti, i sospetti più consistenti, in merito ai mittenti dell’attentato, si sono sempre addensati in questa direzione. Sono molti a sostenere che la Cia abbia giocato un ruolo attivo, anche grazie alle sponde fornite da settori deviati dei servizi segreti italiani e dalla mafia.
D’altronde Mattei, in piena guerra fredda, aveva allestito una linea commerciale con la Russia, rompendo l’embargo politico occidentale — per di più proprio nei giorni in cui gli Stati Uniti stavano uscendo dalla crisi dei missili di Cuba. La Cia, dunque, avrebbe avuto diverse ragioni per colpire Mattei: punire chi fa gli affari col nemico sovietico, lanciare un monito all’intero occidente, inviare un messaggio a Mosca, coinvolta nel braccio di ferro su Cuba e liberarsi di chi aveva osato mettere in discussione il monopolio delle “sette sorelle”.
Emergeranno le relazioni tra mafia e servizi segreti americani
Qualora l’Italia, che ospitava il partito comunista più forte dell’Europa occidentale, si fosse avvicinata troppo al nemico sovietico, erano pronte soluzioni di tipo autoritario, sul modello sudamericano, con la benedizione della Cia. I servizi deviati riappariranno sullo sfondo di tutte le peggiori stragi, molte delle quali ancora senza colpevoli, avvenute in Italia a cavallo tra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta. Come pure emergeranno i rapporti tra servizi deviati e criminalità mafiosa, e quelli tra mafia e servizi segreti americani, risalenti allo sbarco degli alleati in Sicilia durante la seconda guerra mondiale. Nell’ambito di un quadro simile, risulta più chiaro il collegamento tra la morte di Mattei e quella del giornalista Mauro De Mauro. Tommaso Buscetta, primo grande pentito di mafia, pose subito in relazione i due casi, sostenendo che il finto incidente aereo fosse un favore reso dalla mafia a forze occulte, eventualmente anche straniere.
“I boss mafiosi Stefano Bontate, Gaetano Badalamenti e Luciano Leggio furono coloro che organizzarono l’uccisione di De Mauro — dichiarò Buscetta ai giudici —De Mauro stava indagando sulla morte di Mattei e aveva ottime fonti all’interno di Cosa Nostra. Bontate venne a sapere che De Mauro stava avvicinandosi troppo alla verità — spiegò il pentito — e di conseguenza al ruolo che egli stesso aveva giocato nell’attentato”.
Una verità che doveva essere tremendamente scomoda, visto che la maggior parte degli investigatori che si occuparono della scomparsa di De Mauro furono assassinati dalla mafia.