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Home > Il caso Regeni

Il caso Regeni

19 de maio de 2016 - Por Comunità Italiana
Il caso Regeni

Il caso RegeniL’Egitto umilia l’Italia: falsità e bugie sulla morte del giovane ricercatore italiano

Il 3 febbraio scorso al Cairo, in Egitto, viene ritrovato un corpo in un fosso. Presenta evidenti segni di tortura. Nel giro di poche ore la notizia viene confermata: è il corpo di Giulio Regeni, 28 anni, giovane italiano di talento, nato in provincia di Udine, formatosi nella prestigiosa università di Cambridge. Per due volte vincitore del premio “Europa e giovani” con le sue ricerche sul Medio Oriente, aveva collaborato con l’Organizzazione delle Nazioni Unite per lo sviluppo industriale e stava conseguendo un dottorato di ricerca presso il Girton College. Si trovava in Egitto per svolgere una ricerca sui sindacati indipendenti locali, presso l’Università Americana del Cairo e aveva scritto diversi articoli sulla difficile situazione creatasi dopo la rivoluzione egiziana del 2011, pubblicati con uno pseudonimo dall’agenzia di stampa Nena e dal quotidiano Il Manifesto.
Regeni scompare misteriosamente il 25 gennaio del 2016. Si scoprirà in seguito che è stato rapito e torturato: tra le tante tracce di violenza, rivelate dall’autopsia, spiccano sette costole rotte, segni di scosse elettriche sui genitali, lividi e abrasioni, lesioni traumatiche e tagli inferti con lame affilate su tutto il corpo, e anche un’emorragia cerebrale. Dal giorno della scomparsa di Regeni a quello del rinvenimento del suo cadavere passano dieci lunghi giorni, che rappresentano un vero e proprio buco nero.

L’ambasciatore al Cairo Maurizio Massari richiamato in patria
Le autorità egiziane, infatti, hanno fornito e continuano a fornire soltanto una collaborazione di facciata. Il governo italiano, sempre più irritato, ha richiamato a Roma l’ambasciatore italiano al Cairo, Maurizio Massari, in seguito al fallimento del vertice che si è tenuto in Italia ad aprile, tra il pool di inquirenti capitanato dal procuratore della Capitale Giuseppe Pignatone e gli investigatori egiziani. In realtà si è trattato solo di un ritiro temporaneo e non del richiamo ufficiale del proprio rappresentante diplomatico, ma il senso dell’iniziativa appare chiaro. I risultati dell’incontro sono stati giudicati del tutto insoddisfacenti e al limite della provocazione: l’Egitto, infatti, aveva promesso di consegnare un dossier di circa duemila pagine, dal quale sarebbero dovuti emergere molti nuovi particolari sul caso Regeni. Gli investigatori egiziani, invece, si sono presentati a Roma con pochi fogli, contenenti una serie di appunti peraltro già noti agli inquirenti italiani e senza fornire alcun atto giudiziario che potesse contribuire a fare luce sul caso. Inoltre sono rimaste del tutto inascoltate le richieste della Procura di Roma, alla quale è stato negato di entrare in possesso dei tabulati telefonici di una decina di utenze, riconducibili ad altrettanti cittadini egiziani e della documentazione relativa al traffico di celle telefoniche del cellulare di Regeni, che avrebbe permesso di ricostruire i suoi ultimi spostamenti.  
L’Egitto, tramite il presidente Al Sisi e i suoi servizi segreti, punta il dito contro la criminalità comune. Lo stesso Al Sisi ha pubblicamente affermato che a uccidere Regeni “è stata gente malvagia”, mentre tutte le accuse contro il governo egiziano sarebbero “soltanto bugie”. Una tesi in linea con la grottesca operazione compiuta nel marzo scorso dalla polizia egiziana, culminata con l’uccisione dei cinque presunti assassini di Regeni. Inizialmente il Ministero degli Interni egiziano aveva sostenuto che le cinque persone uccise facessero parte di una banda specializzata nel sequestro di stranieri, che operava con divise della polizia. Guarda caso, nelle loro abitazioni, sono stati ritrovati il portafogli e i documenti del ricercatore italiano, che avrebbero costituito la prova della loro colpevolezza. Una versione che fin da subito è apparsa a tutti come il tentativo di costruire una verità di facciata attraverso una maldestra messa in scena. A tal punto che lo stesso governo egiziano, pochi giorni dopo, ha fatto pubblicamente marcia indietro in merito alle responsabilità delle cinque persone uccise rispetto al caso Regeni, senza però spiegare come fossero finiti nelle loro case i documenti del giovane italiano.
La verità è ancora lontana, ma la convinzione comune, in Italia e nel resto dell’Occidente, è che vada ricercata nell’ambito degli apparati statali egiziani. Difficile definire quali possano essere le responsabilità del governo di Al Sisi, ma in uno stato poliziesco, dove il controllo sociale e l’attività repressiva sono ai massimi livelli, appare del tutto inverosimile che un giovane ricercatore straniero possa essere rapito, torturato e ucciso da criminali comuni, senza che gli apparati statali ne sappiano nulla.

Sparite 735 persone in 8 mesi
Per comprendere a pieno il contesto nel quale è maturato il delitto, occorre delineare il quadro politico e sociale dell’Egitto dei nostri giorni. Tutto è cambiato con l’ascesa al potere dell’attuale presidente della Repubblica ed ex Capo di Stato maggiore dell’esercito, che nel luglio del 2013 rovesciò il governo Morsi con un colpo di stato militare. Il regime instaurato da Al Sisi è spietato nei confronti di tutti i cittadini sospettati di essere dissidenti o oppositori, tanto che la sparizione di Regeni non rappresenta affatto un caso isolato. Una commissione indipendente egiziana, diretta da un ex ricercatore di Amnesty International, Mohammed Lotfy, stima che nel Paese, negli ultimi otto mesi, siano sparite 735 persone. Gli obiettivi individuati dagli apparati statali vengono prelevati da agenti della sicurezza per strada, a casa, sul luogo di lavoro o a scuola, e portati in centri di detenzione sia ufficiali che non, dove vengono reclusi all’insaputa dei familiari, senza poter comunicare con avvocati e senza comparire di fronte a un giudice. Alcuni riappaiono dopo settimane o mesi con segni di tortura e maltrattamenti, ma di 498 persone che risultano attualmente scomparse, al momento non si sa nulla. In larga parte sono individui accusati di appartenere alla Fratellanza Musulmana o considerati dei dissidenti laici, in quanto attivisti di sindacati indipendenti o di organizzazioni politiche non in linea con il governo Al Sisi.
La vicenda Regeni presenta molti punti in comune con il fenomeno, sempre più diffuso, delle sparizioni in Egitto. Il giovane ricercatore, come emerge dai suoi articoli, era entrato in contatto con realtà dei sindacati indipendenti e in alcune occasioni ha scritto dei resoconti piuttosto critici nei confronti del governo Al Sisi. Dati di fatto che hanno suggerito diverse ipotesi sulle circostanze che hanno portato alla sua morte: inizialmente si è pensato che potesse essere stato scambiato per una spia dai servizi segreti egiziani, poi che ci fosse un nesso con gli articoli anti-governativi pubblicati in Italia, infine si è fatta larga la pista di uno scontro interno agli apparati egiziani, tra settori della polizia e della burocrazia statale da una parte, servizi e governo dall’altra, nell’ambito del quale Regeni avrebbe fatto da agnello sacrificale.
Quel che è certo è che il modus operandi non è quello di un banale caso di criminalità comune. Secondo le ultime indiscrezioni filtrate attraverso i corrispondenti dell’agenzia Reuters, che hanno citato fonti di polizia e intelligence, Regeni sarebbe stato arrestato dalla polizia egiziana la sera della sua scomparsa e poi trasferito in un compound gestito dai servizi di sicurezza interni. Naturalmente mancano ulteriori riscontri, ma la reazione delle autorità egiziane la dice lunga sul nervosismo che aleggia al Cairo, visto che due giornalisti dell’agenzia sono stati fermati poche ore dopo la diffusione della notizia e successivamente rilasciati.
Nonostante il caso Regeni abbia suscitato un dibattito sia in Egitto che in Europa e negli Stati Uniti, le relazioni politiche ed economiche non hanno scalfito di un millimetro la posizione di forza di Al Sisi che, anzi, di recente ha stretto nuovi accordi economici e strategici con l’Arabia Saudita e si appresta a siglare un’intesa per nuove commesse, anche militari, con la Francia di Hollande. L’Italia non è riuscita ad incassare il sostegno degli Stati amici, nell’ottica di isolare Al Sisi a livello internazionale: il risultato è che il regime egiziano, anziché sentirsi sotto pressione, riceve nuovo ossigeno e nuove risorse. Non resta che attendere i nuovi sviluppi, a partire dalla risposta del Cairo, che sarà prevedibilmente negativa, alla nuova richiesta di rogatoria presentata dalla Procura di Roma.  

Comunità Italiana

A revista ComunitàItaliana é a mídia nascida em março de 1994 como ligação entre Itália e Brasil.