{mosimage}La direzione delle carceri accusa agenti e funzionari: «Ci sono responsabilità a tutti i livelli»
Sono le conclusioni a cui è giunta l'indagine della Direzione generale delle carceri sulla fine del tossicodipendente arrestato dai carabinieri e deceduto all’ospedale «Sandro Pertini» di Roma, dov’era stato ricoverato per le fratture subite. Picchiato nelle celle di sicurezza del tribunale di Roma dagli agenti penitenziari, secondo l'ipotesi della magistratura; non si sa dove, quando e da chi, secondo l'Amministrazione penitenziaria che ha potuto acquisire solo alcuni atti giudiziari, non tutti quelli richiesti. Ora la relazione della commissione formata da Sebastiano Ardita, Maria Letizia Tricoli e Federico Falzone e altri funzionari del Dap è stata inviata alla Procura di Roma, che la valuterà e ne trarrà eventuali conseguenze.
Vomito e sporcizia nelle celle
Sugli agenti carcerari l'ispezione dà atto delle «condizioni lavorativamente difficili» in cui gestiscono gli arrestati e i detenuti in attesa di giudizio nei sotterranei del tribunale di Roma. Ma spiega che «risulta difficile accettare che il personale non sia stato posto a conoscenza neppure dell’esistenza della circolare per l'accoglienza dei 'nuovi giunti' (quella con le regole sulla 'prima accoglienza' ai detenuti, ndr)» . Non c'era, ad esempio, il registro coi nomi degli arrestati e l'annotazione dei movimenti con gli orari. «Appare incomprensibile — prosegue la relazione — la mancata attuazione di alcuni requisiti minimi di ordine amministrativo già previsti, e la mancata segnalazione di taluni gravi aspetti disfunzionali su carenze di carattere igienico sanitario e sulla gestione degli arrestati».
Tradotto dal linguaggio burocratico, significa che le camere di sicurezza del tribunale di Roma versano in condizioni degradate e degradanti, perché hanno spazi ridotti, non ci sono servizi igienici, non prendono aria né luce dall'esterno ed è possibile che lì vengano richiuse persone rimaste a digiuno anche da ventiquattr'ore: «All'atto del sopralluogo le condizioni igieniche presentano evidenze di materiale organico ormai essiccato sui muri interni (vomito) che risultano in parte ingialliti e sporcati con scritte. Sul pavimento, negli angoli, si rilevano accumuli di sporcizia».
La notte dell’arresto
Lì, secondo gli elementi d'accusa raccolti finora dalla Procura di Roma, Stefano Cucchi è stato aggredito dagli agenti penitenziari, subendo le fratture che hanno portato al ricovero sfociato nella morte del paziente-detenuto. Gli ispettori del Dap non traggono conclusioni sul pestaggio (per cui sono indagate tre guardie carcerarie e non i carabinieri che avevano arrestato Cucchi la sera prima dell'udienza in tribunale, i quali hanno riferito e dimostrato di non essere stati presenti nelle camere di sicurezza del tribunale) rimettendosi alle conclusioni dell'indagine giudiziaria. Però indicano la cronologia degli eventi attraverso le testimonianze, a cominciare da quella dell’infermiere del Servizio 118 che visitò Cucchi la notte dell'arresto, tra il 15 e il 16 ottobre, nella stazione dei carabinieri di Torsapienza. Trovò il giovane interamente coperto, e poco o per nulla collaborativo. «Ho cercato di scoprirgli il viso per verificare lo stato delle pupille e guardarlo in volto… C'era poca luce perché nella stanza non c’era la luce accesa… Ho potuto notare un arrossamento, tipo eritema, sulla regione sottopalpebrale destra. Non potevo vedere la parte sinistra perché il paziente era adagiato su un fianco».
L'infermiere, visto che Cucchi «comunque rispondeva a tono e rifiutava ogni intervento», se n’è andato dopo mezz’ora. I carabinieri avevano chiamato il 118 «riferendo di una crisi epilettica», ma il neurologo dell’ospedale «Fatebenefratelli » che ha visitato il detenuto la sera del 16 ottobre riferisce che Cucchi «precisò che l’ultima crisi epilettica l’aveva avuta diversi mesi fa». Al dottore, come ad altri, Cucchi disse che era «caduto dalle scale», ma nella relazione del Dap sono riportate anche testimonianze di altro tenore.
Viso tumefatto
L’assistente capo della polizia penitenziaria M.D.C. ricorda che lo vide passando nelle celle degli arrestati «nella tarda mattinata, tra l’una e le due», del 16 ottobre: «Aveva il viso appoggiato sullo spioncino aperto, ho notato che aveva il viso tumefatto, di un evidente colore marrone scuro». Un altro assistente capo, L. C., che portò il detenuto dal carcere di Regina Coeli al «Fatebenefratelli» e al «Pertini» ricorda: «In un momento in cui sono rimasto solo con Cucchi gli ho chiesto cosa era successo, mi ha risposto con una voce alterata e forte 'è successo fuori, voglio parlare urgentemente col mio avvocato'. Io non ho detto più niente».
C'è poi la testimonianza dell'ispettore capo A.L.R., su Cucchi che disse come «durante la notte», dopo l’arresto, aveva avuto un incontro di box, e gli altri detenuti risposero ironici: «Sì, ma tu facevi il sacco». E c’è la deposizione dell’assistente capo B.M., che perquisì Cucchi già pesto e dolorante il pomeriggio del 16 ottobre, all’ingresso a Regina Coeli: «Gli ho detto, in maniera ironica e per sdrammatizzare, 'hai fatto un frontale con un treno', e lui mi ha risposto che era stato 'pestato' all'atto dell'arresto». Quanto al ricovero nel reparto carcerario dell’ospedale «Pertini» — a parte l’odissea vissuta dai genitori di Cucchi che non sono riusciti a vederlo né ad avere notizie, e hanno saputo della morte solo dalla notifica del decreto che disponeva l’autopsia — il giudizio finale è che «le regole interne dell’ospedale abbiano finito per incidere perfino su residui spazi che risultano assolutamente garantiti nella dimensione penitenziaria. Ragione per cui il trattamento finale del degente-detenuto è risultato essere la somma di tutti i limiti del carcere, dell’ospedale e della burocrazia».
Giustificazioni inqualificabili
Per gli ispettori questa vicenda «rappresenta un indicatore di insufficiente collaborazione tra responsabili sanitari e penitenziari», e certe giustificazioni avanzate da alcuni responsabili «non meritano qualificazione». In conclusione, «risulta censurabile l'operato complessivo nei confronti del detenuti Cucchi e dei suoi familiari, in particolare nell’ambito del 'Pertini', laddove non è stata posta in essere delle prescrizioni volte all'accoglienza e all'interpretazione del disagio del detenuto tossicodipendente ».
Fonte: www.corriere.it