Con l’approvazione del decreto legislativo che definisce i nuovi collegi stabiliti dal Rosatellum, comincia ufficialmente il countdown per le elezioni politiche di primavera. La definizione dei nuovi collegi, infatti, che sarà perfezionata entro due settimane circa, renderà applicabile la legge elettorale a tutti gli effetti ed eliminerà l’impedimento che c’era stato finora a sciogliere le Camere.
Le ipotesi sulla data del voto
Nella prossima primavera si voterà dunque, ma la data non è ancora decisa, anche se alcuni elementi sono già chiari.
Calendario alla mano, al netto delle diverse spinte politiche per elezioni a marzo (che vengono da Pd, M5s, Lega e Fdi) o a maggio (che vengono da Fi e parte della sinistra), si devono innanzitutto esaminare le varie possibilità, finestre, impedimenti per individuare le possibili domeniche per il voto. Va considerato ad esempio che il primo aprile è Pasqua, che quest’anno coincide quasi anche con la Pasqua ebraica. Molte sono le indiscrezioni circolate in queste settimane, di certo il Capo dello Stato non intende intervenire in una disquisizione sulle date, e non parlerà prima della cerimonia di auguri alle Alte cariche a ridosso del Natale. Ma diversi elementi sono ormai evidenti a tutti.
Le valutazioni del Quirinale
Innanzitutto il dato fondamentale che Mattarella dovrà valutare per capire se si andrà a uno scioglimento rapido entro la prima settimana di gennaio o a uno più lento nelle settimane successive sarà una valutazione politica. Le Camere infatti vengono sciolte dal Presidente della Repubblica, sentiti i presidenti delle Camere. Se quindi, una volta varata la manovra, ci sarà ancora la volontà del Parlamento di varare alcuni provvedimenti, il Capo dello Stato non dichiarerà conclusa la legislatura, se invece il Parlamento riterrà di aver finito il suo lavoro, il Capo dello Stato indirà le elezioni. Saranno dunque i partiti a cominciare da quelli di maggioranza e, insieme a loro, il governo e il presidente del Consiglio a far sapere a Mattarella qual è il loro intendimento.
Perché Berlusconi vuole l’election day
Finora le date considerate più probabili erano quelle delle tre domeniche di marzo (4, 11, 18). L’ultima data, in particolare, permetterebbe di sciogliere le Camere tra il 15 e il 20 gennaio, avendo dato tempo al Parlamento di varare alcuni provvedimenti dopo la manovra e la pausa natalizia. Sarebbe quindi possibile cercare di dare l’ok definitivo allo ius soli, mentre alcuni vorrebbero mettere in agenda anche biotestamento e vitalizi. Ma da Forza Italia arriva un forte pressing e un appello al Colle per dare una chance a Silvio Berlusconi in vista di un possibile reintegro da parte della Corte Ue e per permettere l’election day, cioè l’accorpamento con le elezioni regionali.
In realtà quest’ultimo elemento non è determinante, poiché la maggior parte delle regioni chiamate al voto dovrebbe votare comunque intorno a marzo, dato che le elezioni regionali del 2013 per Lazio, Lombardia e Molise furono a febbraio. Dunque si torna alla valutazione politica da parte dei partiti della maggioranza, a cominciare dal Pd, e del governo.
E se si dovesse tornare a votare?
Di certo si può fare piazza pulita di uno dei temi che hanno animato la politica in queste settimane: quello di un possibile scenario spagnolo o tedesco in tempi rapidissimi. In caso di stallo dopo il voto, se cioè nessuno schieramento o partito raggiungerà la maggioranza assoluta dei parlamentari, si cercherà di dar vita a un governo di responsabilità o di larghe intese. Se nessuno si mostrasse disponibile si potrebbe dover tornare alle urne, ma questo, nonostante alcuni lo ipotizzassero, non sarà possibile prima dell’autunno prossimo. Anche se si votasse ai primi di marzo, infatti, difficilmente si potrebbe votare entro la pausa estiva: servono infatti non più di venti giorni per la prima seduta dopo il voto, poi si devono eleggere i due presidenti e a quel punto il Capo dello Stato può cominciare le consultazioni. Una serie di adempimenti che richiederebbe poco più di un mese, se si trattasse di una situazione di stallo, e che porterebbe a nuove elezioni ai primi di luglio, una data mai tentata da nessuno finora.
Anche per questo sarà interessante capire se quando si scioglieranno le Camere il premier sarà dimissionario o no. Vista la situazione di incertezza tutto farebbe propendere per una scelta di non dimissioni, che permetterebbe al Presidente del Consiglio di restare in carica per gli affari correnti ma con una maggiore forza politica da utilizzare nei mesi dopo le elezioni per rappresentare l’Italia anche nei consessi internazionali. Elemento tanto più importante, agli occhi di chi si deve preoccupare della stabilità del Paese, nel caso lo stallo durasse mesi. Ma questa sarà una decisione su cui le valutazioni saranno compiute dai diretti interessati, premier e presidente della Repubblica, a ridosso della decisione di chiudere la legislatura. (agi)