ROMA – Una nota congiunta per dire che "nessuno vuole forzare la mano al presidente", ma che nei fatti pone un aut aut che suona di monito alle possibili future decisioni del Capo dello Stato. Così il capigruppo del Pdl Fabrizio Cicchitto e Maurizio Gasparri, all'indomani della nota del Quirinale in risposta al deputato pidiellino Bianconi, che aveva accusato il presidente di "tradire la Costituzione".
"Nessuno sta forzando e nemmeno pensa di forzare la mano – si legge nella nota – ma è indubbio che nel nostro sistema bipolare i cittadini trovino sulla scheda anche il nome del premier". Dunque, per Cicchitto e Gasparri, "ipotizzare governi tecnici o di transizione senza consenso elettorale sarebbe vista come una manovra di palazzo lontana dal mandato del popolo". E ancora: "Deve esserci da parte di tutti un tentativo positivo di riprendere con incisività l'azione di governo, ma qualora non vi fossero i numeri per consentire alla maggioranza di procedere sui 4,5 punti, allora la soluzione dovrà essere quella di ricorrere alle urne".
Dal fronte del centrodestra Bossi sembra più prudente: Napolitato "è una persona che sta bene dove sta. Non bisogna esacerbare lo scontro, dobbiamo fare le riforme e abbiamo bisogno di un presidente che non sia contro di noi".
Dall'opposizione reagisce Filippo Penati, capo della segreteria. "Il Pdl continua a fornire una lettura surrettizia della Costituzione, esercitando così una
indebita pressione sul capo dello Stato". Penati ricorda che "non esiste alcuna legge che avalli le forzature proposte, anche oggi, dagli esponenti del centrodestra. Non esiste l'elezione diretta del presidente del Consiglio, questi non ha il potere di scioglimento delle Camere e tantomeno può indire elezioni, inoltre l'indicazione del nome del premier sulla scheda è un dato politico e non giuridico. Cicchitto e Gasparri proseguono nel sostenere una presunta Costituzione materiale che non esiste".Poi arriva anche una nota congiunta dei capigruppo del Pd, Franceschini e Finocchiaro: 'Il presidente del Consiglio e il Governo possono rassegnare le dimissioni o chiedere la fiducia al Parlamento. Ma tutto cio' che avviene un minuto dopo le dimissioni o dopo la mancata fiducia da parte delle Camere e', secondo la Costituzione del nostro paese, nelle mani del capo dello Stato. Qualunque decisione il capo dello Stato decidesse di adottare, noi la rispetteremo fino in fondo. Il potere di scioglimento delle Camere e', secondo la Costituzione, nelle mani del presidente della Repubblica, al cui equilibrio e' rimessa ogni decisione in merito alla possibilita' di garantire continuita' alla vita istituzionale del paese''.
Severo il giudizio sul Pdl anche dal presidente dell'Udc, Rocco Buttiglione, secondo cui "è grave che si continui a parlare di una Costituzione che non esiste, e su questa base si cerchi di forzare la mano al Capo dello Stato. Alcune critiche politiche alle ipotesi di soluzione sono da noi condivise, altre no. Il pallino è in mano al governo e alla maggioranza che ha vinto le elezioni, se esiste ancora".
I giornali cattolici si schierano con il Colle. La reazione di Napolitano era "inevitabile e appropriata nella sua misurata fermezza", scrive Avvenire, che chiede di "fermare le cannonate d'agosto", perché "non esiste autentico rispetto della volontà dei cittadini-elettori senza profondo e consapevole rispetto per i ruoli e le funzioni di garanzia assegnati alle Istituzioni repubblicane". Anche Famiglia Cristiana attacca parlando di "un Paese che si avvia a celebrare l'unità d'Italia ed è stufo di duelli, insulti e regolamenti di conti" e chiedendo una "politica responsabile, che miri al bene comune e che richiederebbe oggi da tutti un passo indietro, prima che il Paese vada a pezzi, e un'intesa di unità nazionale (e solidale) che restituisca ai cittadini il diritto di eleggersi i propri rappresentanti".
Ma dai quotidiani di famiglia di Berlusconi continua l'attacco al Quirinale. "Con quale coraggio si potrebbe mandare all'opposizione chi ha vinto le elezioni e affidare l'esecutivo a chi le ha perse? Un'operazione del genere, architettata appigliandosi alle regole del sistema parlamentare, sarebbe forse formalmente corretta, ma nella sostanza rappresenterebbe uno sfregio alla sovranità popolare", scrive oggi il direttore de Il Giornale Vittorio Feltri nel suo editoriale. Che aggiunge: "Il presidente della Repubblica farebbe meglio a non irritarsi se in questi giorni si discute molto su cosa accadrebbe qualora il governo non avesse più la maggioranza e cadesse".