Comunità Italiana

Il giorno del giudizio

E’ il giorno di Alitalia. Il referendum dei lavoratori che si chiude oggi, 24 aprile, deciderà il destino della compagnia aerea.

Su cosa si vota
L’intesa prevede un ulteriore impegno finanziario da parte dei soci (quasi 2 miliardi di euro) ma anche sacrifici ai lavoratori: 980 esuberi a tempo indeterminato tra il personale di terra e riduzioni dell’8% della retribuzione e dei riposi annuali da 120 a 108 per quello navigante. Ai nuovi assunti inoltre verrà applicato il meno oneroso contratto ‘cityliner’, il vettore a breve raggio.
Che succede se vince il Sì
Gli azionisti si sono impegnati a ricapitalizzare la società, ormai a corto di liquidità. I passi successivi saranno la riunione del Cda che dovrà varare la manovra da due miliardi e la ratifica dell’accordo in sede ministeriale tra azienda e sindacati, già convocato per giovedì 27 aprile.

Che succede se vince il No
In caso di vittoria dei No si aprirebbe invece la strada per la messa in liquidazione dell’ex compagnia di bandiera, con la nomina di un commissario straordinario.
Come sta andando il referendum
L’affluenza continua a salire: domenica sera a seggi chiusi avevano già votato 9.100 dei 12.500 dipendenti. Alla consultazione non è previsto il raggiungimento del quorum, per cui il risultato sarà subito valido a prescindere dal numero di lavoratori che avrà votato.

Cinque cosa da sapere

Si è cominciato a votare il 20 aprile
Sono chiamati a pronunciarsi 12.500 dipendenti
La manovra di salvataggio ammonta a 2 miliardi
La garazia viene fornita da Invitalia
Il ‘cuscino di salvataggio’ costerebbe agli italiani 200 milioni
Riguardo alle modalità, è molto probabile che sarà necessario un provvedimento del Governo che, autorizzato da Bruxelles, dia il via libera a Invitalia. La formula potrebbe essere quella già adottata per i crediti in sofferenza, la Gacs. In quel caso, dove lo Stato forniva la propria garanzia ad emissioni obbligazionarie a fronte dello smobilizzo di crediti, la ‘copertura’ pubblica era a carattere oneroso, a condizioni di mercato. Comunque sia l’operazione, che non è certamente esente da forti perplessità, avrebbe soprattutto il valore psicologico di indurre gli azionisti italiani (tra i quali Unicredit e Intesa San Paolo sono i maggiori azionisti italiani) a mettere mano al portafoglio.

E’ previsto un cuscinetto per evitare ‘atterraggi’ troppo duri
In particolare, la garanzia pubblica servirebbe a garantire i soci italiani da un eventuale fallimento del piano. Più precisamente, la manovra finanziaria in cantiere è articolata su 2 miliardi, dei quali 900 milioni di ‘nuova finanza’. All’interno di questi 2 miliardi è previsto un cosiddetto ‘contingency plan’ di 400 milioni che diventerebbe operativo nel caso in cui il piano, anche per fattori esterni ed esogeni al management, non dovesse centrare gli obiettivi prefissati. Questa sorta di ‘cuscinetto’ finanziario verrebbe sottoscritto per il 49% da Etihad e per il restante 51% dagli azionisti italiani che su questa cifra, poco più di 200 milioni, vorrebbero la garanzia pubblica. (AGI)