Comunità Italiana

Il magico suono della lira

Siamo onesti: la colpa della crisi non è dell’euro. È tutta nostra

Il suono della lira delle Sirene era dolce e struggente. I marinai che doppiavano Scilla e Cariddi, in estasi, lasciavano il timone e tutto dimenticavano. Morivano d’inedia e le Kere, perfide dee della morte, facevano scempio dei loro cadaveri. Qualche secolo dopo, mentre Roma bruciava, Nerone strimpellava la sua lira. Sembra insomma che la lira facesse guai già nei tempi antichi. Eppure oggi si sente ripetere, quasi fosse un mantra: si viveva meglio ai tempi della lira. È vero, ma le verità scomode danno fastidio ed è meglio non porsi la domanda: perchè? Per capire i legami esistenti tra massa monetaria, inflazione, svalutazione, potere d’acquisto, parità di bilancio, prodotto lordo e debito pubblico non bastano i nostri modesti studi di economia. Possiamo provare a fissare alcune idee caserecce, cercando di capire perchè ai tempi della lira si vivesse meglio.
 
Nacque l’euro e l’Italia, fondatrice dell’Unione Europea, optò per la moneta comune. L’euro sostituí la lira. Si addebita all’allora premier Prodi l’errore di aver accettato un tasso di conversione lira/euro che penalizzò gli italiani: è vero, ma di ciò non intendiamo parlare. L’ingresso nella zona euro comportò, tra altre cose, la riduzione della nostra sovranità nelle aree fiscale e monetaria. Nell’area fiscale perchè il nostro bilancio doveva rispettare certe regole e limitare il suo deficit cronico. Nell’area monetaria perché alla Banca Centrale non era più permesso stampare moneta per riempire i buchi del bilancio. Nell’era della lira, la licenza di spendere senza limiti dava ai governi la possibilità di creare benessere in cambio di voti,  di mascherare gli sprechi, di tollerare l’evasione fiscale, la corruzione e le mafie, i troppi dipendenti inutili troppo pagati, le pensioni concesse a quarantenni, gli incredibili privilegi dei politici e delle caste. Trionfavano il lassismo e il più cieco conservatorismo. Alcune conseguenze: dal’72 all’83 l’inflazione media fu del 18.4% all’anno, più o meno nello stesso periodo la lira perse 4 volte il suo potere d’acquisto rispetto al dollaro, dall’82 al ’94 il debito italiano raddoppiò rispetto al prodotto lordo. Furono anni di spesa troppo allegra. Mancavano soldi? Si stampavano o si prendevano in prestito. E poi non c’erano, come oggi, 5 milioni di immigrati, l’invasione dei prodotti cinesi, la fuga delle fabbriche verso altri paesi e c’era lavoro per tutti. In quel clima di benessere drogato e di noncuranza generalizzata l’italiano assimilò la cultura dello spreco e del consumo inutile, e ignorò che la globalizzazione stava cambiando il mondo. 
 
Le persone e le famiglie serie gestiscono il loro budget con rigore, spendendo nella misura delle disponibilità. L’Italia, e non fu l’unica in Europa, spendeva più di quanto fosse lecito. Stampare moneta a parità di prodotto lordo genera inflazione e perdita del potere d’acquisto. Il governo allora svalutava la lira, riducendo il debito espresso in dollari, aumentava l’export e adeguava gli stipendi. Il lavoro c’era, i consumi aumentavano e si aveva la percezione di stare bene. Nessuno, in quegli anni, pensò che i nipoti avrebbero dovuto soffrire per restituire il debito mostruoso che si andava accumulando.
 
L’Italia, con l’euro, non può stampare moneta. Né può aumentare il debito, ormai troppo alto. La cultura della spesa irresponsabile deve dare spazio alla cultura del rigore, e non è facile. E non ha senso demonizzare l’euro. La nostra moneta può chiamarsi lira, euro, fiorino o tallero, ma i conti devono sempre quadrare, con una spesa pari all’incasso. Si sostiene che un certo deficit possa essere benefico: siamo d’accordo, purchè però esso sia contenuto entro limiti ragionevoli e non sia gettato al vento. Deve essere investimento e non deve superare la capacità di restituzione del debito. Monti non può, come fece Ulisse con i suoi marinai, tappare le orecchie a chi è attratto dal suono della lira delle Sirene. Se proprio noi italiani vogliamo riavere l’intera sovranità e tornare a stampare le lirette  possiamo farlo: ci aspetta una fortissima svalutazione e il ritorno al malcostume dei passati decenni. Ma i tempi e i costumi sono cambiati e l’Italia, forse, qualcosa sta imparando.