I Paesi del Bric si apprestano a soccorrere le economie di un’Europa in crisi
Alla fine è successo quello che fino a qualche anno fa sarebbe apparso a tutti difficile da immaginare: il Brasile, dopo averci superato nella classifica mondiale dei Paesi più ricchi, si appresta a soccorrere l’Europa (e quindi l’Italia) prendendo in seria considerazione, insieme ai Paesi del ‘Bric’, l’ipotesi di acquistare titoli pubblici per sostenere le economie dei Paesi maggiormente in crisi; una crisi che, sia detto per inciso, può espandersi a macchia d’olio in maniera contagiosa rischiando di paralizzare l’intera economia mondiale. |
Un anno fa, dalle colonne di questa rivista, annunciavamo il ‘sorpasso’ nei nostri confronti cercando di evidenziare la grande opportunità che la straordinaria crescita del Brasile sullo scenario mondiale costituiva per l’Italia, che proprio in Brasile ha la sua più grande comunità di italo-discendenti al mondo.
A meno di un anno di distanza, e davanti ad una crisi economico-finanziaria sempre più forte (e all’indomani di una manovra finanziaria che costerà agli italiani 55 miliardi di euro in tagli e tasse) le economie dei Paesi emergenti (i Brics, appunto) si sono affrettate a fare sentire la loro voce rassicurante.
Il Ministro dell’Economia del Brasile, l’italo-brasiliano Guido Mantega, ha annunciato che nella riunione dei grandi Paesi emergenti a Washington la crisi dell’eurozona e i possibili interventi per affrontarla sarebbero stati al centro delle due giornate di lavoro.
“E’ il mondo rovesciato”: così ha scritto un grande esperto italiano di questioni internazionali, Federico Rampini, sulle pagine del quotidiano La Repubblica. “Un tempo Brasile e Russia erano sinonimo di “default” – continua Rampini nel suo editoriale – oggi entrano con la Cina nell’elenco dei potenziali cavalieri bianchi”.
Davanti ad un mondo alla rovescia, le vecchie grandi potenze europee sembrano comportarsi ancora con le categorie e i riflessi dello scorso millennio, non più adatte ad affrontare uno scenario radicalmente cambiato, nella forma e nella sostanza.
Mentre leggevo quell’articolo riflettevo su un’altra rivoluzione, forse simbolicamente ancora più grande di quella evidenziata dall’opinionista: non sono trascorsi nemmeno cinquant’anni, mezzo secolo, da quando gli italiani andavano in Brasile alla ricerca di fortuna, lavoro, nuove opportunità di vita. Lo avevano fatto scappando da un poverissimo nord-est alla fine dell’ottocento e all’inizio del novecento, agli albori dello Stato unitario italiano; hanno continuato a farlo dal centro e dal sud del Paese nel dopoguerra, fuggendo da un’Italia nuovamente segnata dallo spettro della povertà e della disoccupazione.
Oggi, quella generazione di emigranti esprime il meglio della classe dirigente brasiliana: politici, imprenditori, sindacalisti e intellettuali.
Oggi è Guido Mantega, nato a Genova il 7 aprile del 1949, a parlare a nome dei “cavalieri bianchi” che ci possono salvare da una crisi che potrebbe avere effetti devastanti sul futuro del pianeta.
Un paradosso. Un “mondo alla rovescia” che dobbiamo comprendere, anzi conoscere, per saperne cogliere le enormi potenzialità che si nascondono anche in un momento di difficoltà drammatiche come questo.
Il fatto che gli italiani, ancora una volta, siano i protagonisti di questo mondo rovesciato deve farci riflettere. Mi ha fatto sorridere (amaramente) leggere nella manovra finanziaria approvata dalla maggioranza del Parlamento una norma che introduce paletti e restrizioni alle rimesse degli immigrati in Italia verso i loro Paesi di origine. Una norma sbagliata per tre motivi: anzitutto perché inefficace (il contributo che ne deriverà è minimo); poi perché colpisce anche tantissimi oriundi che hanno beni in Italia e interessi personali e familiari all’estero; infine – ed è la cosa più grave – perché dimostra ignoranza e memoria corta da parte dei nostri legislatori e dei nostri governanti. Se l’Italia di oggi è un Paese ancora ricco, infatti, lo si deve anche alle tante rimesse dei nostri emigranti all’estero. Averlo dimenticato, o fare finta di non saperlo, è davvero imperdonabile.