Dopo terrorismo politico e mafia, il Paese è alle prese con la violenza dei fanatici dell’Islam
A Dacca, in Bangladesh, nove italiani sono stati uccisi in maniera spietata da un gruppo terroristico legato all’ISIS, l’autoproclamato “Stato Islamico” che da alcuni mesi semina odio e terrore in tutto il mondo nel nome di Allah e del Corano.
Per l’Italia si è trattato della più grande strage di civili avvenuta dal dopoguerra e, ancora oggi, il nostro Paese è sotto choc per un atto che ci getta nuovamente nel dramma del terrorismo, che tante volte abbiamo conosciuto nel corso degli ultimi decenni.
Dopo il terrorismo rosso e nero degli anni ’70 e ’80 e le stragi di mafia degli anni ’90, pensavamo di entrare in un nuovo millennio di pace e prosperità, forti dell’avanzamento del processo di integrazione europea, della fine della “guerra fredda” e di un nuovo ordine mondiale globalizzato e multilaterale.
Così purtroppo non è stato. E, negli ultimi anni, il dramma immenso dell’immigrazione forzata in Europa e le ripetute difficoltà del processo di integrazione europea hanno reso evidente una realtà sempre più contraddittoria, contraddistinta da fenomeni di egoismo e intolleranza.
Ma cos’è l’ISIS, questo nuovo fenomeno terroristico che tiene oggi con il fiato sospeso tutto il mondo, riuscendo a mietere vittime e sangue in tutti i continenti? Difficile dare una spiegazione lineare e coerente, anche perché complessi sono il contesto storico e lo scenario culturale all’interno del quale si è sviluppato quello che, probabilmente, è il più spietato movimento terroristico dei nostri tempi. Nonostante la forte e voluta connotazione religiosa, con il riferimento al Corano e all’Islam come radici e finalità di questi gruppi, sbaglieremmo se confondessimo in maniera indistinta l’ISIS con il mondo musulmano e la cultura araba.
La grande parte dei Paesi musulmani, infatti, hanno preso le distanze dal fanatismo e dai metodi violenti e inaccettabili di queste schegge impazzite dell’Islam. Sarebbe, quindi, un grande errore trasformare in uno ‘scontro di civiltà’ quella che è semplicemente una forma di barbarie da combattere con le armi della cultura, oltre che con la determinazione dei nostri servizi di ‘intelligence’ e delle nostre forze armate.
Alcune delle ragioni politiche per la nascita di questo fanatismo islamico sono lontane, altre più vicine: la guerra in Iraq iniziata nel 2003 e la fine della Libia di Gheddafi nel 2011 sono state sicuramente due tappe cruciali verso il consolidamento del fondamentalismo islamico. Al Qaeda, prima, e ISIS, poi, sono sicuramente anche il frutto della reazione delle ali più radicali del mondo musulmano contro una civiltà occidentale considerata sempre più “nemica” e, quindi, da conquistare o annientare da parte di chi interpreta alla lettera e senza mediazioni il contenuto del Corano e i comandamenti di Maometto.
Oggi assistiamo da una parte ad un ridimensionamento del potere dell’ISIS nei tradizionali territori dove è nato e si è sviluppato (Siria, Iraq e Libia), mentre dall’altro gli attentati in Francia, Belgio, Turchia e Bangladesh (per citarne solo alcuni) ci dicono che il fenomeno si è diffuso e ha fatto proseliti in tutto il mondo.
A differenza del terrorismo politico e della stessa mafia – difficili da combattere e violenti nelle loro azioni, ma poi identificati e in grande parte messi in condizione di non agire più contro lo Stato e i suoi cittadini -, di fronte all’ISIS ci sentiamo spesso impotenti, anche per la difficoltà di identificarne le caratteristiche oltre che per l’oggettiva imprevedibilità delle loro azioni, spesso condotte da ‘kamikaze’ pronti a tutto.
L’Italia sarà unita anche di fronte a questa sfida e siamo certi che siamo in grado di vincerla. I nostri valori di pace e democrazia prevarranno anche oggi su chi crede di imporre al mondo la logica della violenza e dell’intolleranza.