Negli ultimi due anni si sono realizzati i trasferimenti più clamorosi della storia
I vari campionati europei si sono appena conclusi e a tenere banco è di nuovo il mercato. Nel corso dei decenni i grandi capitali hanno cambiato spesso casa: dai fasti italiani degli anni Ottanta si è passati al dominio dell’Inghilterra, quindi ha tenuto banco la Spagna, questo mentre cresceva l’ex Unione Sovietica. Ultimamente, in attesa che il tanto chiacchierato fair play finanziario renda tutti un po’ più simili, sembra che i soldi siano sparsi qua e là, soprattutto in ragione della provenienza dei nuovi investitori: magnati, sceicchi e gruppi finanziari, in genere originari dell’India, come dei Paesi arabi e degli Stati Uniti. E così alla schiera dei Club da sempre danarosi e spendaccioni se ne sono aggiunti alcuni tradizionalmente oculati, che improvvisamente possono mettere sul tavolo cifre notevolissime. A quelli meno ricchi, nel frattempo, non resta che riciclare vecchie glorie o assoldare giocatori con le più fantasiose formule di prestito.
Negli ultimi due anni si sono realizzati i trasferimenti più clamorosi della storia. Quelli di Kakà e Cristiano Ronaldo al Real Madrid hanno sfiorato l’incredibile, con valutazioni simboliche nella loro indecenza più che corrispondenti alle reali capacità dei calciatori, pur forti, coinvolti. Idem quello di Ibrahimovic al Barcellona, anche se con la contropartita tecnica di Eto’o. Quest’inverno, quindi, si è perfezionato il passaggio di Torres dal Liverpool al Chelsea, che ha costituito il nuovo primato per la Premier League (50 milioni di sterline), col contemporaneo acquisto di Suarez e Carroll da parte dello stesso Liverpool per un cifra nel complesso superiore, benché questo esborso sia stato mitigato dalla vendita dello spagnolo. Nello stesso periodo il Manchester City si è assicurato Dzeko per una trentina di milioni.
Proprio il caso della seconda squadra di Manchester, di proprietà dello sceicco Mansour, è quello che più richiama l’attenzione nell’analisi di questa nuova ondata di spese folli. Dopo aver già cambiato volto nel 2009, fra l’estate 2010 e gennaio 2011 ha speso 185 milioni di euro, ingaggi a parte, incassandone appena 25. E adesso, con Richards unico prodotto del vivaio ad aver trovato posto fra i titolari, più che a lanciare altri suoi ragazzi sembra propenso a spendere ancora centinaia di milioni di euro: per Cristiano Ronaldo, sempre lui, sarebbe stata fatta un’offerta di 180. Certo, non si è ancora concretizzato nulla, ma la tendenza è questa.
Tutto ciò mentre le due migliori squadre al mondo, Barcellona e Manchester United, insieme hanno dato vita alla seconda finale di Champions League negli ultimi tre anni, avendo già vinto, nel complesso e per limitarsi a questo primo scorcio di nuovo secolo, due delle precedenti tre. Cosa c’è di strano? Che pur essendo Club ricchissimi il cui debito ne decreterebbe la scomparsa se non avessero la tutela che hanno, le squadre che mettono in campo sono essenzialmente il prodotto del vivaio e di un progetto duraturo. Sono tanti gli ex ragazzini del Barcellona oggi pilastri della prima squadra: Messi, Iniesta, Xavi, Puyol, Piqué, Pedro, Busquets, Victor Valdes. Dal canto loro, Giggs e Scholes, esplosi insieme a Beckham e al recentemente ritiratosi Gary Neville, anch’essi usciti dal vivaio, tengono alta la bandiera dello United addirittura da vent’anni e recentemente sono stati affiancati da una decina di altri fenomeni tutti arrivati a Manchester ancora adolescenti, quando nessuno ne parlava.
Prendendo il Manchester City a esempio del nuovo modello di Club rampante sulla scia di giganti quali il Real Madrid, il Chelsea e il Milan anni Novanta, c’è da fare un’osservazione. Sembra, infatti, che i proprietari delle nuove potenze economiche del pallone non abbiano capito che i soldi non sono tutto. Non sono bastati nemmeno al multimilionario secondo Real targato Florentino Perez, che in due anni ha vinto giusto una Coppa del Re, cioè il trofeo maggiore meno ambito fra quelli che poteva conquistare.
Barcellona e Manchester United, invece, pur non sottraendosi all’andamento generale del calcio moderno sono arrivati a chiudere non più di un grande colpo all’anno, perché per il resto possono far conto sui propri giovani e su quelli che gli osservatori scovano in giro per il mondo, aprendo veri e propri cicli. Offrono un gioco fenomenale e riescono a non far passare in secondo piano né l’aspetto sportivo né l’identificazione. E’ così che si sono assestati in alto che più in alto non si può, ottenendo il massimo possibile in quanto ad allori ma anche stima.
C’è quindi da chiedersi se i nuovi padroni del calcio avranno l’intelligenza e la pazienza di seguirne i modelli, perché il futuro del pallone l’hanno in mano loro.