Il titolare dell’azienda di vini biologici Chiusa Grande: “Seguo un percorso al contrario, progetto prima le emozioni che intendo provare bevendo”
Eccentrico, vulcanico e poliedrico. Franco D’Eusanio, conosciuto in Italia come vinosofo green e titolare dell’azienda di vini biologici Chiusa Grande, si racconta in un’intervista esclusiva a Comunità. La base produttiva della sua impresa si trova in Abruzzo, a Nocciano, tra le dolci colline dell’entroterra pescarese: 70 ettari di vigneto, tutti coltivati con metodo di agricoltura biologica, che rendono ogni anno 6 mila ettolitri di vino, venduti in 500 mila bottiglie e 300 mila bagging box. I quantitativi sono destinati per il 70% al mercato estero e per il 30% a quello nazionale: le principali aree di esportazione sono, in ordine di rilevanza, Nord Europa, Giappone, Stati Uniti, Centro Europa e Cina. L’amore per i suoi prodotti e la passione per la sperimentazione hanno spinto D’Eusanio a portare in giro per il mondo una nota attrice italiana e una formazione jazz, che hanno dato vita ad una serie di eventi di degustazione multisensoriale nel corso dei quali i vini Chiusa Grande sono stati abbinati a cibi di qualità, brani musicali e versi poetici che descrivono le caratteristiche organolettiche di ogni singola bottiglia.
— E’ un progetto che abbiamo portato a New York, Montreal, Singapore, Tokyo e in varie località italiane. Recentemente ho dotato la sala degustazioni della mia azienda di un impianto al led, per completare l’esperienza multisensoriale con l’abbinamento cromatico — conferma D’Eusanio.
Sensibile alle innovazioni e, allo stesso tempo, legatissimo alla millenaria tradizione italiana del fare vino, una delle sue ultime scommesse è la vinificazione in pietra. Un ritorno all’epoca dei Greci e dei Romani, quando si vinificava direttamente in vigna, ma con le competenze e le tecnologie proprie del nostro tempo. La sua visione e le sue teorie, racchiuse nella sua concezione vinosofica, hanno portato D’Eusanio anche sulle cattedre di vari master universitari.
— Possiamo parlare di vinosofia perché produrre vino è qualcosa che ha a che fare con tutti gli aspetti della mia vita e perché alla base della mia attività c’è un unico pensiero, estremamente coerente, che mi guida in ogni ambito. Un pensiero che si ricollega innanzitutto ai valori di riferimento del mondo contadino e quindi alla tradizione, all’ospitalità, alla solidarietà, al romanticismo, all’idealismo, alla piacevolezza del vivere e al benessere psicofisico — spiega il produttore.
Una filosofia di vita che D’Eusanio ha trasformato in una filosofia produttiva:
— Punto ad ottenere dei prodotti che siano poi evocativi di uno stile di vita e di una visione della vita. Anziché progettare il vino, io progetto l’emozione che intendo provare attraverso la degustazione di quel vino, traducendo le emozioni nelle caratteristiche organolettiche che si ritrovano nelle mie bottiglie. È un percorso al contrario, perché parto dall’emozione e per ogni emozione che voglio ottenere, calibro le tipologie di affinamento e fermentazione, ma anche la scelta del vigneto, che con una maggiore esposizione al sole può offrirmi una concentrazione più elevata e con una vegetazione più ricca mi restituisce un’acidità più marcata.
Uno dei pilastri della vinosofia di D’Eusanio è la sfida del biologico.
— Io parto dal concetto che il vino mi deve piacere in senso fisico, in senso dannunziano e, proprio per questo, ciò che bevo deve essere molto naturale, perché mi deve fare stare bene mentre sto bevendo il vino, ma anche dopo aver bevuto il vino, donandomi piacere e benessere, senza quei residui di fitofarmaci che invece vanno nel senso opposto. Quando parlo di piacere e di benessere, parlo dell’idea di seduzione; perché il mio vino è pensato per essere bevuto facilmente e per invogliare a continuare a bere e, dunque, il livello di chimica necessariamente non può essere elevato perché, altrimenti, rischierebbe di avere effetti disastrosi sul consumatore — prosegue l’imprenditore green.
Seduzione e bevibilità Il termine ‘seduzione’ è un’altra parola chiave nell’universo Chiusa Grande.
— Cerchiamo di esasperare il concetto di bevibilità; tanto è vero che i nostri vini riposando nel bicchiere migliorano e consentono di scoprire nuove appassionanti sfumature — rimarca D’Eusanio.
Gli altri vini, al contrario, dopo pochi minuti che stanno nel bicchiere tendono a svanire, sia nei profumi che a livello gustativo, perché il vino non regge l’impatto con l’ossigeno e dunque si appiattisce. C’è una spiegazione tecnica a questo fenomeno:
— Normalmente la maggior parte dei vini viene prodotta in assenza di ossigeno, allo scopo di amplificare i profumi, mentre io lavoro in iperossidazione e in questo modo, ossidando il mosto, è come se il vino venisse vaccinato nei confronti dell’ossigeno.
La piacevolezza è ricercata ossessivamente.
— Contribuisco ad accentuarla anche attraverso una minore presenza di acido malico che, con una fermentazione secondaria, faccio trasformare in acido lattico, decisamente più dolce e piacevole. In questo modo ottengo un’acidità più equilibrata e, non a caso, uno studio che abbiamo commissionato dimostra che nei tavoli dove sono presenti i vini Chiusa Grande il consumo pro capite raddoppia, proprio perché il nostro prodotto si beve con facilità.
Una visione che, nel suo insieme, rappresenta anche una sfida nei confronti di alcune delle scuole di pensiero più rinomate e importanti:
— La mia idea è l’esatto opposto di quella bordolese, che ruota attorno a vini giovani, con un eccesso di selvatico e di erbaceo. Al contrario, io propongo un vino giovane, ma già pronto e maturo.
L’uomo che parla alle piante
Il rapporto con la natura, nella concezione vinosofica di D’Eusanio, è talmente intimo e intenso, da avere ispirato il libro di Simone D’Alessandro ‘L’uomo che parlava alle piante’; nel libro si descrive il particolare approccio ai vigneti da parte dell’imprenditore abruzzese, e si sostiene che la musica e le parole possano aiutare la crescita e la qualità dei frutti generati dalle piante.
— Sono convinto che le piante abbiano una sensibilità, d’altronde basta entrare nelle abitazioni delle persone che amano le piante per osservare quanto le piante e i fiori rispecchino il livello di attenzioni che ricevono dagli umani. La stessa cosa avviene in ambito produttivo e per questo io vado spesso nelle mie vigne, dove parlo con le mie piante, gustandomi il rapporto con la natura ed entrando in relazione con le viti — osserva il vinosofo.
Produrre biologico, sulla base di queste premesse, deve essere stata una scelta inevitabile. A tal proposito D’Eusanio ci aiuta a definire con maggiore esattezza cosa si intende per biologico quando si parla di vino:
— Per la normativa europea è quel prodotto che deriva da uve coltivate con metodo biologico, vinificato secondo le prescrizioni di un apposito regolamento e realizzato, in ogni fase del processo, senza l’utilizzo di prodotti chimici di sintesi. In pratica è consentito servirsi esclusivamente di sostanze naturali come rame e zolfo, per curare le piante, o come letame e prodotti similari, per nutrirle.
Chiusa Grande, in tal senso, si colloca ben al di là dei requisiti minimi richiesti.
— Siamo in possesso della certificazione Icea, che è l’attestato di base per le aziende biologiche. Ma andiamo decisamente oltre, ad esempio aderendo alla garanzia Aiab, un disciplinare molto più restrittivo, in particolare sull’utilizzo della solforosa, quella famosa sostanza che bevendo certi vini ci provoca il mal di testa. Inoltre abbiamo le certificazioni Iso 9001 sulla qualità nei processi di produzione e Iso 14001 sul rispetto e la tutela dell’ambiente in tutti i punti della filiera. Infine abbiamo la certificazione Iso 14064, nota come Carbon Foot Print, che si riferisce al ciclo del carbonio e attesta che, per produrre ogni bottiglia del nostro vino, viene emessa una quantità di Co2 molto limitata, in particolare grazie all’utilizzo di un elevato quantitativo di energia ottenuta con il fotovoltaico direttamente nella nostra azienda.
Bere bio fa bene e non costa di più
Il vinosofo esalta il mondo del bio, ma mette in guardia da alcune pratiche che talvolta possono rivelarsi ingannevoli.
— Noi coltiviamo tutti i nostri terreni con metodo biologico, mentre molte aziende fanno il 95% della produzione in maniera convenzionale e il 5% con il biologico, ma si spacciano per aziende bio —- avverte il titolare di Chiusa Grande.
— Per me è inaccettabile, non basta neanche l’assenza di fitofarmaci a definire un vino biologico, che invece dovrebbe consentire alle persone di sentirsi sicure ed essere il frutto di terreni sui quali, come nel nostro caso, già da molti anni non si riscontrano presenze di nitrati o diserbanti. Un aspetto, quest’ultimo, — sottolinea D’Eusanio — che risulta fondamentale, considerando che per convertire un vigneto da convenzionale in biologico occorrono almeno quattro anni, poiché le piante si devono letteralmente disintossicare.
Ma perché un consumatore dovrebbe decidere di bere una bottiglia di vino biologico, anziché una bottiglia di vino convenzionale? Perché ormai tutti gli studi e le ricerche confermano che i prodotti bio fanno bene, risponde il vinosofo italiano.
— Sono più ricchi di sali minerali e vitamine, non presentano residui di fitofarmaci che sono spesso tossici e cancerogeni e, inoltre, c’è la certezza che il produttore è stato attento all’ambiente e soprattutto al corpo e alla psiche di chi consuma.
In termini di costi, generalmente, si ritiene che produrre vino biologico implichi un spesa tra il 10% e il 20% superiore alla media.
— Per quella che è la mia esperienza produrre bio non costa di più, tanto è vero che vendo i miei vini a prezzi abbordabili e in alcuni casi perfino inferiori rispetto a quelli di aziende che non hanno tutte le nostre certificazioni. So che per certi versi è una scelta anche penalizzante, perché la mente umana può risultare talmente contorta da ritenere che un vino non troppo costoso non valga abbastanza, ma questa politica dei prezzi è un punto fermo della mia vinosofia, che si fonda sull’idea del bere bene e sano, a prezzi ragionevoli — confida D’Eusanio.
“Brasile, specchio fedele del mio pensiero”
Quanto al mercato del vino biologico, risulta complicato compiere un’analisi specifica. — È difficile anche perché i canali distributivi sono identici a quelli del vino convenzionale — rileva il produttore green.
Quel che è certo è che in Italia, negli ultimi due anni, c’è stata una grande crescita di attenzione nei confronti del vino biologico e oggi il nostro Paese, insieme a Francia e Spagna, è tra i leader a livello produttivo, mentre Nord Europa e Germania sono ai primi posti per il consumo di vini bio.
D’Eusanio, però, mette in luce anche alcune contraddizioni legate al mercato del vino biologico:
— Confinandosi in questo segmento, si rischia una sorta di auto-ghettizzazione, è come se si dichiarasse l’inferiorità dei propri prodotti. Io ho preferito raccogliere la sfida ed entrare nel più ampio segmento del vino di qualità, anche perché credo fermamente che il vino biologico sia in grado di affermare la propria superiorità qualitativa.
Il marchio Chiusa Grande non è ancora entrato in Brasile, ma guarda con grande interesse alla terra verde-oro.
— Negli ultimi tempi sto stimolando il mio export manager ad attenzionare questo mercato con cura sempre maggiore. Sappiamo che il quadro economico adesso non è dei migliori, ma si tratta di un mercato comunque per noi molto attrattivo, perché il Brasile è uno dei Paesi che ha puntato con più decisione sul green, ma soprattutto perché ritengo che la mia vinosofia sia perfettamente in linea con la mentalità brasiliana. Ho visitato più volte il Paese e partecipato a diverse fiere a Rio e a San Paolo e ho avuto modo di constatare come l’allegria e la gioia di vivere del popolo brasiliano siano lo specchio fedele del mio sistema di pensiero — rimarca l’imprenditore.
Essere green genera vantaggi per le aziende e per la collettività
Prima di salutarci, D’Eusanio lancia uno sguardo all’impatto del green sugli scenari futuri dell’economia globale.
— L’economia mondiale sta andando sempre di più in questa direzione. Non è vero che produrre green sia aprioristicamente più costoso, occorrono solo maggiori competenze e bisogna essere pronti a ragionare in un’ottica diversa e innovativa.
Infine un autentico atto di fede:
— Sul medio e lungo termine sono convinto che la green economy generi vantaggi per tutti: per le aziende, sul piano produttivo, ma soprattutto per la collettività, a livello ambientale, della salute e del benessere psicofisico. Un mondo green significherebbe anche un mondo con meno malattie, meno tumori e meno allergie, un mondo nel quale si vivrebbe meglio e nel quale, allo stesso tempo, si produrrebbero dei grandi risparmi per i sistemi sanitari di tutti i Paesi, alleggerendo la pressione sulle rispettive collettività nazionali.