“In realtà mi sono dimesso tre volte. La prima appena usciti i risultati, domenica sera. La seconda davanti a Mattarella, lunedì. Poi il Presidente mi ha chiesto di portare a casa la legge di bilancio, l’abbiamo fatta in 48 ore. E con 173 voti a favore presi al Senato mi sono dimesso per la terza volta”.
L’affermazione è sostanzialmente corretta, anche se formalmente impropria. Renzi ha infatti annunciato le dimissioni la prima volta, nel discorso seguito all’esito del referendum costituzionale del 4 dicembre. Le ha presentate il giorno dopo a Mattarella, che però ha chiesto si sospenderle fino all’approvazione della legge di bilancio, cosa avvenuta nelle 48 ore successive con, effettivamente, 173 voti favorevoli al Senato. Renzi si è dimesso in via definitiva “la terza volta”, cioè il 7 dicembre. In quell’occasione il Quirinale ha accettato le dimissioni “con riserva”, sciolta al termine delle consultazioni al Colle, quando è stato incaricato il nuovo presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni.
“l’Italia che abbiamo trovato nel 2014, con il pil al meno due per cento, aveva bisogno di una scossa”.
Il dato è quasi corretto. In base all’ultimo bollettino Istat sui conti nazionali, pubblicato a settembre 2016, nel 2013 il Pil italiano aveva subito una contrazione dell’1,7%.
“Il Pd potrebbe vantarsi di un Jobs act votato dalla sinistra, di unioni civili votate dai cattolici, della legge sul caporalato e del miliardo e otto stanziato per la povertà, degli oltre 17 miliardi di recupero dalla lotta all’evasione, dell’abbassamento delle tasse”.
La prima affermazione è discutibile: non tutta la sinistra ha votato il Jobs Act. Alla Camera infatti la minoranza “di sinistra” interna al Pd non partecipò al voto (40 assenti tra i democratici), come fece Sinistra Italiana, o votò contro (Civati e Pastorino). Al Senato sulla legge fu posta la questione di fiducia, legando così la sopravvivenza dell’esecutivo all’approvazione della legge. L’unico voto contrario nel Pd fu quello di Corradino Mineo.
La seconda è invece corretta: anche i cattolici della maggioranza hanno votato le unioni civili. Al Senato fu posta la questione di fiducia e la maggioranza votò compatta, inclusa Area Popolare-Ncd-Centristi per l’Italia (il gruppo che raccoglie principalmente i cattolici conservatori della maggioranza). Alla Camera, dove non c’era la fiducia sul provvedimento, dei 15 deputati presenti al voto di Area Popolare-Ncd-Centristi per l’Italia in 11 votarono a favore, uno si astenne e tre votarono contro.
Quanto alla “legge sul capolarato”, è stata approvata definitivamente il 18 ottobre 2016 dalla Camera e ha semplificato la fattispecie punibile rispetto a quando era stata introdotta nel 2011, ha aumentato le figure sanzionabili (non solo l’intermediario ma anche il datore responsabile) e ha, di fatto, portato un inasprimento delle pene.
L’affermazione sulla povertà va interpretata. Se Renzi fa riferimento al “Piano nazionale per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale”, il fondo che lo finanzia – per ora il Sostegno per l’Inclusione Attiva, nei desideri del governo un embrione di “reddito di inclusione” – è stato finanziato dallo Stato per 750 milioni di euro nel 2016 e per un miliardo nel 2017. Quindi l’affermazione sarebbe quasi corretta. Dal 2018 dovrebbe poi andare a regime, secondo le previsioni dell’esecutivo, un finanziamento statale di 1,5 miliardi di euro all’anno.
Il dato sui miliardi recuperati dalla lotta all’evasione fiscale pare corretto. In attesa dei dati definitivi che dovrebbero essere diffusi a marzo, ci si basa infatti su quanto dichiarato alla stampa dalla direttrice dell’Agenzia delle entrate, Rossella Orlandi, secondo cui nel 2016 si sarebbe “già superata” la soglia dei 17 miliardi di euro recuperati dall’evasione. Secondo l’Agenzia delle entrate nel 2015 erano stati recuperati 14,9 miliardi di euro. L’anno prima erano stati 14,2 miliardi.
Infine, l’abbassamento delle tasse. Secondo i dati Istat, nel 2013 la pressione fiscale in Italia è stata pari al 43,6% del Pil, e sarebbe poi scesa (ma queste sono stime su dati provvisori, non dati definitivi) nel 2014 e nel 2015 al 43,4%. Il dato più recente, diffuso dall’ente di statistica il 5 gennaio 2017, è quello sul terzo trimestre del 2016, dove la pressione è risultata dello 0,2% inferiore allo stesso periodo dell’anno precedente. Secondo il governo, il dato complessivo sul 2016, in base a quanto scritto nella Nota aggiornamento del Def, nel 2016 si dovrebbe scendere al 42,6% dal 43,4% del 2015.
Secondo il recente rapporto dell’Ocse sul 2015, i dati sono leggermente più incoraggianti: nel 2015 la pressione fiscale sarebbe in realtà stata del 43,3%, nel 2014 del 43,7% e nel 2013 del 44%. Dunque una riduzione nel triennio dello 0,7%. In attesa dei dati definitivi sul 2016 si può dire che ad oggi, di poco per l’Ocse e di pochissimo per l’Istat, le tasse sono diminuite.
“Abbiamo fatto la più grande redistribuzione di reddito della storia fiscale italiana – gli 80 euro – ma abbiamo accettato che fosse presentata come una mancia”.
Questa è un’affermazione quasi impossibile da verificare, ma come grandi riforme che – fatte le proporzioni con il Pil, la popolazione, il reddito e le condizioni di vita in generale dell’epoca – hanno portato a una importante, e probabilmente maggiore, redistribuzione del reddito rispetto a “gli 80 euro” si possono citare ad esempio: l’abolizione della tassa sul macinato voluta da Agostino De Pretis durante gli anni della “sinistra storica” al potere; la riforma De Stefani del 1923 che introdusse l’imposta complementare progressiva sul reddito (una prima importante applicazione del principio di progressività delle tasse sul reddito); la riforma tributaria del 1973-74 (quando venne introdotta l’Irpef, che all’epoca aveva 32 scaglioni, contro i 5 attuali).
Inoltre, secondo l’Istat come secondo le regole della contabilità europea, il provvedimento sugli 80 euro non è una riduzione fiscale, ma un aumento di spesa. Dunque parlare di “storia fiscale italiana” sarebbe improprio.(AGI)