Comunità Italiana

L’Italia si divide

Diventano legge le unioni civili tra coppie dello stesso sesso, ma non passa la stepchild adoption: il Paese, sia in piazza che in Parlamento, è spaccato tra favorevoli e contrari

Il riconoscimento delle unioni civili, anche tra coppie dello stesso sesso, è legge. L’Italia, con notevole ritardo rispetto al resto d’Europa, introduce nel proprio ordinamento una serie di diritti fondamentali per gli omosessuali. L’iter che ha portato all’approvazione del testo, però, è stato lungo e accidentato. Il Paese si è spaccato a metà, tra oppositori e sostenitori della nuova legge. Dopo aspre polemiche, tatticismi parlamentari, manifestazioni di piazza e reciproci scambi di accuse, solo un compromesso ha permesso di sbloccare la situazione. E i compromessi, come spesso accade, scontentano un po’ tutti. “E’ un fatto grave”, ha tuonato Massimo Gandolfini, leader delle associazioni cattoliche che avevano manifestato affinché la legge venisse affossata. Deluse anche le associazioni degli omosessuali. “Ponzio Pilato”, hanno scritto in un comunicato, “non sarebbe riuscito a fare di meglio”. L’unico ad esultare è stato il premier Matteo Renzi, che ha twittato: “E’ un fatto storico per l’Italia”. A seconda dei punti di vista, è possibile vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. Di certo non del tutto pieno né del tutto vuoto.
Il disegno di legge, che porta il nome della senatrice del Partito Democratico Monica Cirinnà, è stato drasticamente depotenziato: il testo iniziale, oltre al riconoscimento delle unioni civili, prevedeva la cosiddetta stepchild adoption, ovvero la possibilità che il genitore non biologico adottasse il figlio (naturale o adottivo) del proprio partner, anche nell’ambito di coppie omosessuali. Per portare a casa l’approvazione della legge, però, il governo Renzi ha scelto di rinunciare alla seconda parte della norma, accontentandosi di un risultato minimo, che peraltro era stato sollecitato dall’Europa: l’Italia, infatti, era l’unica nazione, tra le sei che hanno fondato l’Unione Europea, a non prevedere né i matrimoni né le unioni civili per le coppie omosessuali.
Ogni paese del vecchio continente, compresa la cattolicissima Irlanda, avevano già legiferato in materia, assicurando qualche forma di tutela alle unioni gay; le uniche eccezioni erano rappresentate da Grecia, Cipro, Lituania, Lettonia, Polonia, Slovacchia, Bulgaria, Romania e appunto Italia. Per un Paese che ambisce ad un ruolo di leadership nel processo politico e culturale di unificazione europea, si trattava di un gap decisamente eccessivo. Proprio per questo Renzi, che oggi più che mai ha bisogno di irrobustire la propria credibilità a livello internazionale, aveva scommesso in prima persona su un provvedimento che, originariamente, si annunciava perfino più avanzato che in altre realtà europee.

Bergoglio: “Il Papa è per tutti e non può mettersi in politica”
In Italia, però, il Vaticano continua ad esercitare una grande influenza e ampi settori dell’opinione pubblica hanno mostrato atteggiamenti di netta chiusura sul riconoscimento dei diritti degli omosessuali. Non tanto Papa Francesco che, interpellato dalla stampa sulle unioni civili, prima ha affermato che “non può esserci confusione tra la famiglia voluta da Dio e ogni altro tipo di unione”, ma poi ha precisato: “il Papa è per tutti e non può mettersi in politica; ai vescovi ho detto: arrangiatevi voi”. Alla luce delle precedenti aperture del Papa e della guerra strisciante in corso alla Santa Sede, è una posizione che può essere interpretata come un via libera, condizionato al parere della Conferenza Episcopale Italiana. E proprio la CEI, seppur spaccata, alla fine si è schierata contro il disegno di legge Cirinnà. Non solo. L’assemblea dei vescovi italiani ha dato il suo appoggio al Family Day, la manifestazione che si è tenuta il 30 gennaio a Roma e che ha portato in piazza centinaia di migliaia di persone, tra semplici cittadini, associazioni cattoliche, gruppi ultra-conservatori, formazioni della destra estrema e esponenti di quella moderata.
Al di là della guerra dei numeri (secondo gli organizzatori i manifestanti erano 2 milioni, mentre a giudizio di altre fonti non superavano le 400 mila unità), il dato politico è apparso subito chiaro: una parte consistente del Paese considera non solo la stepchild adoption, ma anche le unioni civili, una minaccia all’inviolabilità della famiglia tradizionale e un inaccettabile sdoganamento dell’omosessualità. Un sentimento comune, che ha trovato conferma anche in diversi sondaggi. “Renzi tenga conto di questa piazza o ce ne ricorderemo”, hanno detto sul palco, il 30 gennaio scorso, gli organizzatori del Family Day.

Il balletto della politica
Il Family Day ha rappresentato una straordinaria dimostrazione di forza, che ha finito per rinvigorire il fronte dei cattolici intransigenti, trasversale ai partiti, creando diverse crepe nelle forze parlamentari favorevoli al disegno di legge. Il Movimento 5 Stelle, ad esempio, ha tenuto un atteggiamento piuttosto ondivago: prima il movimento si è dichiarato compattamente a favore, poi il guru Beppe Grillo ha annunciato che i parlamentari avrebbero potuto votare secondo coscienza, in seguito deputati e senatori pentastellati  hanno fatto sapere che non c’erano dubbi sul sostegno alla legge e alla fine hanno fatto saltare il cosiddetto “canguro”, il provvedimento che avrebbe messo al voto il testo originario del DDL Cirinnà, eliminando circa 500 emendamenti. Il PD, che aveva bisogno dei voti del Movimento 5 Stelle per far passare la legge, ha subito gridato al tradimento e ha chiesto e ottenuto il rinvio del voto. E depotenziare il disegno di legge. Nel giro di poche ore, dopo avere accusato il M5S di doppiezza e opportunismo, e dopo aver sostenuto di non potersi più fidare del movimento di Grillo, il PD ha stretto un accordo con il Nuovo Centrodestra, il partito degli ex berlusconiani passati in maggioranza; così si è giunti al paradosso che, mentre c’era una forza politica pronta a votare il testo originario senza modifiche, a patto di non ricorrere a scorciatoie parlamentari, si è preferito accordarsi con un altro partito, accettando di rinunciare alla stepchild adoption e dunque dimezzando l’impianto della legge.
In questo modo però Renzi ha ottenuto l’introduzione di un provvedimento che, per quanto sia giunto in clamoroso ritardo, è comunque, effettivamente, di portata storica. Allo stesso tempo ha trovato il capro espiatorio, sul quale scaricare le responsabilità per il depotenziamento della legge, nel Movimento 5 Stelle. E per ultimo, ma non da ultimo, è riuscito a scongiurare pericolose fibrillazioni in seno alla propria maggioranza (con NCD e l’ala cattolica del PD che erano già pronti a dare fuoco alle polveri), ha evitato di irritare le influenti gerarchie vaticane e si è tenuto buone sia la parte più progressista che quella più conservatrice del suo elettorato di riferimento. Sul piano politico, un autentico capolavoro perseguito con meticolosità e cinismo. È vero che le unioni civili colmano molti vuoti introducendo diritti e doveri equivalenti a quelli del matrimonio — come la comunione dei beni, il congedo matrimoniale, gli assegni familiari, i trattamenti assicurativi, la reversibilità della pensione, l’eredità, la possibilità di effettuare visite in carcere e in ospedale, e l’accesso alle informazioni sanitarie che riguardano il
proprio partner.
È vero anche, però, che la rinuncia alla stepchild adoption lascia inalterato un grave vulnus: oggi un bambino che cresce con un proprio genitore, nell’ambito di una coppia omosessuale, ha meno diritti di un bambino con genitori eterosessuali ed è più esposto a traumi legati a separazioni e contenziosi. E’ stata la stessa senatrice Cirinnà ad annunciare che un nuovo disegno di legge, sulle adozioni per le coppie omosessuali, verrà presto presentato alla Camera. Non resta che attendere, per verificare se ci saranno la volontà politica e i numeri necessari per approvarlo.