Un’opportunità unica per conoscere da vicino i progetti urbanistici più creativi e, in un modo o nell’altro, scambiare delle esperienze e adattare, localmente, soluzioni per problemi universali, originati da 50 realtà diverse, ossia, dalle 50 nazioni rappresentate presso la Biennale di Architettura. Non per caso, il direttore della grande mostra è l’architetto Richard Burdett, urbanista inglese, professore della London School of Economics (LSE) e consulente del comune di Londra.
— Più della metà della popolazione mondiale vive nelle città. Il 21 secolo rappresenta la prima età urbana, quando 75% degli abitanti del pianeta vivono in metropoli con più di 20 milioni di persone, principalmente in Africa, nel Sudamerica e nell’Asia. E pensare che cento anni fa, soltanto il 10% della popolazione mondiale si trovava in città — afferma Burdett, nato a Firenze, ma residente a Londra. A proposito, non è per caso che quest’ultima viene considerata spesso un modello europeo e serve come laboratorio a molte altre “polis”. Milano è un esempio, dato che a partire da gennaio dovrà istituire un pedaggio a chi circola in macchina nel centro, esattamente come succede nella capitale inglese.
L’esperienza londinese è soltanto una piccola punta dell’iceberg che si trova “ancorato” nella zona Arsenale, vicino al cuore di Venezia. Lì sono presentate 16 esperienze urbanistiche di megalopoli come Shangai, Città del Messico, Los Angeles, Tokio, San Paolo, Caracas, Cairo, Istanbul, Berlino, Barcellona, Johannesburg, Londra, Bogotà, Bombay o Milano.
— Abbiamo cercato di ricondurre la struttura fisica di una città con edifici, giardini, spazi, strade, oltre le dimensioni sociali e culturali dell’esistenza urbana — dice il direttore Richard Burdett.
Basato su questi contributi, viene tracciato un profilo proprio con indicatori sociali, storici, demografici, economici, culturali. Il foco si dà anche in termini umanistici, con l’obiettivo di affrontare i problemi di superpopolamento, di accesso al lavoro, di spostamento tra determinati punti nevralgici. Insomma, si tratta di un manuale di sopravvivenza nella giungla del cemento per gli essere umani “imbottigliati” e stressati delle grandi città.
— Abbiamo portato a Venezia la vita quotidiana delle città di tutto il mondo e abbiamo invitato gli istituti di ricerca a dividere le loro visioni di intervento urbano — completa l’architetto.
Secondo il direttore, questi organismi sono preoccupati per la vita in futuro e realizzano importanti studi negli Stati Uniti, Germania, Svizzera, Messico, Olanda, India e Italia. Soltanto nel Padiglione Italiano, nei Giardini, i 13 principali istituti di ricerca di avanguardia del pianeta presentano casi specifici.
Il Massachusetts Institute of Technology (Mit), di Boston, presenta la mappatura di Roma; l’Università del Texas, di Austin, presenta uno studio sull’impatto politico e sociale dell’uragano Katrina a New Orleans; l’Office for Metropolitan Architecture (Oma), di Koolhass, presenta un’immersione nella realtà di Lagos; e il Domus Magazine esibisce il progetto “Fiction Pyongyang”. Questo senza nominare l’Istituto Universitario di Architettura di Venezia e il Berlage che rivelano le conseguenze del processo, in corso, di deindustrializzazione in città americane ed europee. Un tema molto attuale, dato che in questi giorni la Dow Chemical smonterà il suo impianto industriale di PVC di Porto Marghera, a Venezia.
L’ambiente ringrazia, ma il fantasma della disoccupazione comincia a materializzarsi. Il Padiglione Italiano ospita ancora il progetto “Italy-y-2006. Invito a Vema”, in realtà, una mostra su una futuristica città chiamata Vema, un insieme di Verona con Mantova, dov’è analizzato un possibile sviluppo urbanistico per il futuro. C’è ancora spazio per un profondo studio fotografico di uno dei più curiosi e interessanti cantieri dell’Italia, il Maxxi di Roma, “squarciato” in 10 fotografie di tutto il percorso dell’opera.
Migliaia di grafici tridimensionali, studi, film, pannelli fotografici, proiezioni e interviste costituiscono questa immensa “Torre di Babele” per registrare le trasformazioni urbane di ieri, oggi e ancora provare a visualizzare il domani. La visualizzazione di come si vive oggi nelle grandi città può essere considerata un “trattamento di shock” al pubblico. E non si deve aspettare soltanto che il visitatore o il lettore prenda confidenza con questa realtà urbanistica vista sotto l’ottica di chi è responsabile per le trasformazioni degli scenari [progettisti e architetti] attraverso una “passeggiata” per Venezia e le sue istallazioni o via televisione e lettura di giornali e riviste.
Per arrivare al grande pubblico il Moma di New York e la The Architecture Foundation, di Londra, provano a realizzare trasmissioni in diretta dalla Biennale, creando una stazione radio per interagire e discutere con personalità specializzate nel campo urbanistico.
Oltre al principale evento, orbitano una serie di altre mostre e esposizioni, come le Città di Pietra, inclusa nella sezione Sensi Contemporanei e vista come uno degli “effetti collaterali” del corpo principale della Biennale. L’iniziativa può essere considerata come la provocazione di un “terremoto” di discussioni sulle città di oggi e quelle che si stanno disegnando per l’indomani.
“Blade Runner”, il celebre film di Ridly Scott, con Harrison Ford nel ruolo di cacciatore di androidi, fa già parte del passato. La realtà supera la fantasia cinematografica e assume dimensioni spaventose. Città di Pietra fa vedere come sono stati costruiti i principali nuclei urbani collocati sulle rocce delle montagne. Essa presenta la traiettoria di queste città, dal primo insediamento fino al declino dell’uso della pietra come abitazione.
Secondo il curatore della mostra, Claudio D’Amato Guerrieri, esistono ancora indizi nell’architettura mediterranea di questo modello che ancora corre il rischio di sparire per sempre.
— È necessaria una forte resistenza culturale per affrontare i rischi della pastorizzazione e dell’omologazione globalizzata delle abitazioni. Oggi questi sono fattori dominanti — commenta D´Amato, che è anche professore di progetti nella facoltà di Architettura del Politecnico di Bari.
La mostra apre il dibattito sui modelli che governano le trasformazioni paesaggistiche e urbanistiche, e la tendenza dell’architettura moderna di “decostruzione”, una specie di rilassamento della cultura precedente. Con questo, Città di Pietre figura come se fosse nata dal ventre delle civilizzazioni greche e romane, che durante un buon tempo, servirono di modello per l’Occidente d’oggi.
Ulteriori dettagli
La Città di Pietra non passa sottotono per chi circola per le Artiglierie dell’Arsenale. Un gigantesco obelisco, di 15 metri di altezza e 6 metri di diametro, posa come sentinella di una cultura che lotta per non essere sotterrata dal neomodernismo. L’obiettivo non è soltanto quello di una provocazione, ma anche di presentarlo con un simbolo ancora di vanguardia e di multifunzionalità. La mostra si divide in tre parti. Una parla dell’importanza dell’uso della pietra nelle costruzioni degli anni ’30. Un’altra manda una luce sul Faro di Alessandria, area costruita da Alessandro Magno, progettata da Dinocrate e considerata dagli studiosi come la prima città moderna della storia. E questo senza parlare del linguaggio architettonico che ha saputo interpretare le invenzioni più antiche come, per esempio, l’orla marittima di una città. Tra i progetti contenuti in questa mostra, ci sono ancora due ponti veneziane.
Le zone portuarie
La Città Portuaria, invece, articolata in quattro esposizioni diverse, è esibita contemporaneamente a Venezia, per la prima volta, fuori dalla sede principale, Palermo. La stessa mostra, l’anno prossimo, sarà presentata in altre tre città del sud dell’Italia. Questa volta il foco sarà chiamato water front delle regioni. Casi come quelli di Rio de Janeiro, Oslo, Helsinki, Liverpool, Rotterdam, Edimburgo, Valparaiso [Cile], Rosario [Argentina], San Francisco, Città del Cabo, Yokohama, Sidney, Venezia e Genova.
Ma un capitolo a parte è sulle sponde delle città portuarie della Spagna, come Barcellona e Malaga. Una partitura speciale in tutta questa esposizione è dedicata al litorale spagnolo e al recupero del livello di eccellenza dell’orla marittima della regione. E, come l’Italia è il paese anfitrione dei porti, esiste anche uno studio ufficiale su dieci di questi nelle città di Napoli e Salerno, in Campania, Pescara, in Abruzzo, Reggio Calabria, in Calabria, Catania, Messina, Siracusa e Trapani , in Sicilia, Bari e Brindisi, in Puglia.
E lo show architettonico continua con le influenze dei progetti settentrionali. Il padiglione dei Paesi Nordici deve essere visitato così come quello della Svizzera, con un grande omaggio a Bernard Tschumi. E dalle stirpi russe arriva il progetto Inhabited Locality sui luoghi proibiti all’uomo e Singapore Shopping, decorato dal rinomato designer Toyo Ito. Il Brasile viene rappresentato da 11 architetti e progettisti, scelti a dito dalla Fondazione Biennale di San Paolo. L’immensa esposizione segue fino al 19 novembre. In questa edizione, il premio Leone d’Oro è dedicato all’architetto Richard Rogers.