Asti e la super tangenziale costosissima. E Rifondazione accusa: minaccia l'habitat dell'anfibio
ROMA — Trecentosettantacinquemilioniottocento-ventitremiladuecentocinquanta euro. Una cifra che basterebbe per comprare trecento carrozze deluxe per i treni dei pendolari. O rimettere in sesto tutte le strutture universitarie scassate dell'Aquila, pagare per un anno le rette degli studenti e poi, con quel che avanza, acquistare tremila casette di legno per gli sfollati del terremoto. Tutti questi soldi saranno invece spesi per una strada, una piccola tangenziale a sud ovest di Asti. Un nastro d'asfalto lungo appena 5.329 metri che costa, considerando i 2.848 metri di bretelle e svincoli per collegarlo alla viabilità ordinaria, più di 60 milioni al euro al chilometro. Esattamente, 62,2 milioni. La breve tangenziale corre su un lungo viadotto e poi sotto terra: immaginate i denari che servono.
Ma se non è la strada più cara del mondo, poco ci manca. Per capire: la Variante di Valico, che si sviluppa quasi tutta in galleria, vale 52 milioni al chilometro. Ed è probabilmente il più costoso tratto di strada mai realizzato in Italia, dove per costruire un chilometro di autostrada si spendono mediamente 32 milioni, contro i 14,6 milioni della Spagna. Senza considerare che la tangenziale sud ovest di Asti non è nemmeno un'autostrada in senso stretto, visto che per un terzo avrà una sola corsia per senso di marcia. Ma in un Paese che nonostante le promesse continua a costruire infrastrutture con il contagocce, sarebbe perfino una spesa benedetta (sempre giustificandone il livello astronomico). Se invece, come qualcuno sostiene, fosse una strada completamente inutile? Così almeno la pensa un comitato locale che da anni la contesta. E così la pensano anche alcuni consiglieri del Piemonte (per esempio Angela Motta del Pd, stesso partito del governatore Mercedes Bresso) pronti a dare battaglia in previsione del parere che a giorni emetterà la Regione. Per nulla scoraggiati dallo scontato «sì» regionale, epitaffio per le loro residue speranze, gli oppositori sono decisi a far valere tutte le loro ragioni. Il 22 settembre due consiglieri rifondaroli, Paola Barassi e Alberto Deambrogio, hanno presentato una mozione contro il progetto preliminare depositato dall'Anas ad agosto. Nell'elenco delle rimostranze, anche l'allarme per il rischio che correrebbe una «particolare e rara specie di rospo presente solo in due aree del territorio piemontese»: il pelobates fuscus insubricus, sopravvissuto all'alluvione del 1994, il cui habitat naturale verrebbe seriamente compromesso dalla nuova arteria.
C'è da dire che l'anfibio avrebbe corso lo stesso rischio anche cinquant'anni fa, quando si cominciò a pensare a quella tangenziale e non esisteva nessun partito dei rospi. Le prime lettere di esproprio ai proprietari dei terreni partirono dal Comune di Asti nel 1960. Poi tutto si fermò. Finché nel 1974 la tangenziale spuntò nel piano regolatore della città. All'inizio attraversava gli orti a ridosso del centro abitato. Via via che il cemento invadeva il territorio, però, il tracciato veniva spostato sempre più in periferia. Mentre i costi del progetto si gonfiavano come un sufflè: l'ultima botta arrivò con l'alluvione del 1994 che ispirò un megaviadotto da oltre un chilometro. Tutto sulla carta, naturalmente, perché nessuno credeva davvero che la tangenziale si sarebbe mai fatta. Troppi soldi, troppo tempo, troppi problemi. Il partito del rospo, che intanto era sorto, si fregava le mani, ma non aveva fatto i conti con il progetto dell'autostrada Asti-Cuneo. Né, soprattutto, con il presidente della Provincia Roberto Marmo, forzista, che persuase l'Anas a fare la tangenziale con l'intento di collegare al casello di Asti Ovest l'Asti-Cuneo con la Torino-Piacenza. Entrambe gestite da società che fanno capo al potente concessionario privato Marcellino Gavio. Si fece quindi un progetto faraonico per un'autostrada a sei corsie.