Il 2 agosto di 36 anni fa esplodeva una bomba nella stazione della città emiliana: 85 morti e 200 feriti, tre neofascisti condannati all’ergastolo, ma i mandanti sono ancora ignoti
È il 2 agosto del 1980. A Bologna l’afa non dà pace ai tanti vacanzieri che affollano la stazione ferroviaria in attesa di partire per le ferie estive. Nella sala d’aspetto di seconda classe, piena in ogni ordine di posto, l’orologio segna le 10.25 del mattino. È una giornata come tante, tra uomini che siedono annoiati, bambini che scorrazzano impazienti e donne che agitano ventagli. All’improvviso un boato sordo, poi il fuoco, il fumo e l’odore di esplosivo, polvere e morte. È un inferno: muoiono 85 persone e altre 200 restano ferite o mutilate. A provocare la strage è una bomba, composta da 23 chili di esplosivo e contenuta in una valigia abbandonata nella sala d’aspetto. La potenza è tale che l’ala ovest dell’edificio crolla completamente. L’onda d’urto, insieme ai detriti provocati dallo scoppio, investe anche il treno Ancona-Chiasso fermo sul primo binario. Vengono distrutti anche 30 metri di pensilina del primo binario e il parcheggio dei taxi nel piazzale della stazione. Lo scenario che si presenta ai primi soccorritori è sconvolgente. I cittadini di Bologna, però, reagiscono con coraggio ed orgoglio. Sia i viaggiatori che i residenti nella zona circostante si attivano con prontezza, accorrendo sul posto e contribuendo ad estrarre le persone sepolte tra le macerie. Le ambulanze che convergono presso la stazione non sono sufficienti a trasportare un numero così elevato di feriti e vengono dunque utilizzati anche gli autobus, i taxi e le auto private per fare la spola con l’ospedale. “Non ho parole”, commenterà pochi giorni dopo l’allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini, l’unico politico applaudito il giorno dei funerali, “siamo di fronte all’impresa più criminale che sia avvenuta in Italia”.
Ad aggiungere rabbia e sconforto al dolore dei parenti delle vittime, le tante lacune e i tanti punti oscuri che caratterizzeranno le indagini: ancora oggi, a 36 anni di distanza dal giorno della strage, sono ignoti i nomi dei mandanti e i moventi dell’attentato. Anche per questo, ogni anno nel piazzale della stazione, le associazioni dei familiari delle vittime continuano a ritrovarsi e a manifestare per chiedere giustizia e per non dimenticare. Le incertezze iniziarono subito dopo la strage: la posizione ufficiale del governo, allora presieduto dal democristiano Francesco Cossiga, fu che l’esplosione fosse dovuta a cause fortuite, legate allo scoppio di una vecchia caldaia. I rilievi successivi e le testimonianze raccolte resero invece evidente che si trattava di un’azione dolosa di matrice terroristica. Agli errori di valutazione iniziali si aggiunsero autentici depistaggi, con alcune presunte rivendicazioni, prima da parte del gruppo neofascista dei Nar (Nuclei Armati Rivoluzionari) e poi da parte delle Brigate Rosse, seguite da altrettante telefonate di smentita.
Soltanto gli esecutori materiali sono stati condannati
Le inchieste giudiziarie che seguirono, e che nel corso degli anni si concentrarono sempre di più nell’area dell’eversione nera, fecero emergere un quadro particolarmente torbido, nel quale giocarono un ruolo anche i servizi segreti deviati, che produssero false informative e ulteriori depistaggi. Molti elementi, inoltre, evidenziarono il coinvolgimento di ambienti neofascisti, logge massoniche e realtà criminali quali la Banda della Magliana e la Camorra. Un groviglio di rapporti e relazioni criminali, fatto di reciproci interessi e obiettivi convergenti, che mai nessuno riuscirà a sbrogliare.
Per la strage di Bologna, infatti, sono stati condannati soltanto gli esecutori materiali: il 23 novembre del 1995, con sentenza definitiva, la Corte di Cassazione ha condannato all’ergastolo i due leader dei Nar — Giuseppe Valerio Fioravanti e Francesca Mambro — e a 30 anni di carcere il neofascista Luigi Ciavardini, giudicandoli responsabili materiali dell’attentato. Fioravanti e Mambro, che hanno ammesso e rivendicato decine di altri omicidi, si sono però sempre dichiarati innocenti in merito alla strage della stazione. Contestualmente sono stati condannati anche l’ex capo della loggia massonica P2 — Licio Gelli —, l’ex agente del Sismi – Francesco Pazienza — e gli ufficiali del servizio segreto militare — Pietro Musumeci e Giuseppe Belmonte — riconosciuti colpevoli di avere contribuito al depistaggio delle indagini. Decine di altri nomi finiti nell’inchiesta hanno ottenuto l’assoluzione.