Il 4 maggio di 67 anni fa lo schianto aereo che mise fine alla leggendaria epopea di una delle squadre di calcio italiane più forti di tutti i tempi
Sono passati sessantasette anni esatti dal giorno della strage di Superga, ma il ricordo di quel che accadde è ancora vivo nella memoria collettiva degli appassionati di calcio e di tutti gli italiani. È il 4 maggio 1949 quando il trimotore Fiat G212 delle Avio Linee Italiane decolla dall’aeroporto di Lisbona. A bordo c’è la squadra di calcio del Torino. Non è semplicemente il Torino, è anche la colonna portante della nazionale italiana ed è soprattutto la squadra che passerà alla storia come il Grande Torino, capace di vincere cinque scudetti e una Coppa Italia tra il 1942 e il 1949, con la prospettiva di dominare la scena ancora per molti anni.
La sera prima di ripartire, i granata, allenati dai tecnici Egri Erbstein e Leslie Lievesley, sono stati impegnati a Lisbona in un’amichevole contro il Benfica. Gli italiani hanno perso per 4-3, ma sono usciti comunque vincitori, avendo onorato una promessa che è al contempo un omaggio al capitano portoghese Francisco Ferreira, in procinto di abbandonare il calcio e un’iniziativa di beneficenza, visto che l’intero incasso è stato devoluto allo stesso Ferreira, alle prese con gravi problemi economici. A volere quell’amichevole è stato soprattutto Valentino Mazzola, il capitano dei capitani, giocatore simbolo del Grande Torino: nel febbraio precedente, quando la nazionale italiana ha battuto il Portogallo 4 a 1, Ferreira e Mazzola si sono incontrati e parlati, impegnandosi ad organizzare la partita.
Il presidente granata Ferruccio Novo era contrario, non voleva distrazioni in vista della finale di campionato, ma Mazzola riuscì a strappargli una promessa:
— Se non perdiamo a Milano contro l’Inter, andiamo in Portogallo.
A San Siro finisce zero a zero, per i granata è quasi scudetto e Novo è costretto a mantenere la promessa. Due giorni dopo è il 2 maggio e si parte per Lisbona. Alla spedizione portoghese partecipano tutti i giocatori più rappresentativi: Mazzola, Bacigalupo, Aldo e Dino Ballarin, Bongiorni, Castigliano, Fadini, Gabetto, Grava, Grezar, Loik, Maroso, Martelli, Menti, Operto, Ossola, Rigamonti e Schubert. Assenti soltanto il difensore Tomà, bloccato a Torino da un infortunio al menisco, il baby prodigio Giuliano, alle prese con una banale influenza e un deluso Gandolfi, portiere di riserva al quale viene preferito Dino Ballarin, grazie alle pressioni esercitate dal fratello di quest’ultimo, Aldo Ballarin, sul presidente Novo. Il patron della società granata resta invece in Italia perchè febbricitante. Tommaso Maestrelli, che pur essendo un calciatore della Roma è stato invitato da Mazzola ad aggregarsi alla squadra in vista dell’amichevole, non fa in tempo a rinnovare il passaporto. Defezioni e partecipazioni che si riveleranno delle imperscrutabili geometrie del destino, in grado di salvare la vita ad alcuni e farla perdere ad altri. Della comitiva fanno parte anche i dirigenti Agnisetta, Civalieri e Bonaiuti, il massaggiatore Cortina e i giornalisti Renato Casalbore, fondatore di Tuttosport, Renato Tosatti della Gazzetta del Popolo e Luigi Cavallero de La Stampa. Proprio Cavallero soffia il posto al c.t. della nazionale Vittorio Pozzo, che aveva avuto alcune incomprensioni con Novo. I membri dell’equipaggio sono il comandante Meroni e gli assistenti D’Inca, Biancardi e Pangrazi.
È previsto uno scalo all’aeroporto di Barcellona intorno alle 13: la squadra ne approfitta per pranzare e a tavola incontra i giocatori del Milan, che sono diretti a Madrid per giocare una partita contro il Real.
— Loro erano stravolti, avevano già avuto un brutto trasferimento da Lisbona a Barcellona.Parlammo pochi minuti, poi ognuno si diresse verso il proprio aereo — dirà in seguito il calciatore milanista Riccardo Carapellese.
Terminato il rifornimento di carburante, infatti, i giocatori del Torino risalgono sul trimotore Fiat G212, che decolla alle 14.50, per effettuare il secondo ed ultimo tratto del volo: nei piani iniziali l’aereo avrebbe dovuto raggiungere Milano Malpensa, dove i giocatori avrebbero trovato il celebre “Conte Rosso”, il pullman che li accompagnava sempre in trasferta, ma il comandante decide di puntare direttamente su Torino. La rotta segue Cap de Creus, Tolone, Nizza, Albenga e Savona, dove l’aereo vira verso nord per raggiungere la città della Mole. Mancano circa trenta minuti all’atterraggio e alle 16.55 viene comunicato ai piloti che la situazione meteo su Torino è pessima: nubi quasi a contatto col suolo, rovesci di pioggia, forte libeccio con raffiche, visibilità orizzontale scarsissima. La torre di controllo chiede un riscontro sulla posizione dell’aereo e dopo qualche minuto di silenzio, alle 16.59, arriva la risposta.
— Quota 2mila metri. Qdm su Pino, poi tagliamo su Superga — dice un membro dell’equipaggio.
È una richiesta di rilevamento radiogoniometrico, mentre Pino è Pino Torinese, località a sud est del capoluogo. Arrivato sulla perpendicolare di Pino, il velivolo compie una manovra, allineandosi rispetto alla pista dell’aeroporto, che si trova a circa 9 chilometri di distanza. Poco più a nord c’è il colle di Superga, che ospita l’omonima basilica, ad un altezza di 669 metri.
Lo schianto contro il muraglione della basilica di Superga
Alle 17:03 l’aereo esegue la virata verso sinistra, posizionato in volo orizzontale e allineato per prepararsi all’atterraggio. Il silenzio, il buio e poi un boato. L’aereo si schianta contro il muraglione del terrapieno posteriore della basilica di Superga. L’impatto è letale.
— Ho sentito un rombo, paurosamente vicino, poi un colpo, un terremoto. Poi il silenzio e una voce di fuori che urlava: è caduto un apparecchio — riferirà il cappellano della basilica.
Alle 17.05 la torre di controllo chiama l’equipaggio, ma non riceve alcuna risposta. Le 31 persone a bordo dell’aereo sono tutte decedute. Non ci sono sopravvissuti. Nei dintorni c’è un ristorante e un uomo lancia l’allarme. Una decina di minuti e da Torino partono 13 ambulanze, mezzi dei vigili del fuoco e auto della polizia. Si inizia a rovistare tra le salme, alcuni dei corpi sono completamente svestiti, altri appaiono sfigurati. Si notano valigie e pacchi regalo.
Qualcuno trova due maglie di colore granata con lo scudetto tricolore e la verità si fa strada: “È il Torino di ritorno da Lisbona”. La notizia fa il giro d’Italia, rimbalza fino al Parlamento. Centinaia di auto si riversano nei pressi della basilica di Superga, dove vengono bloccate dagli agenti di polizia. Il ct della nazionale Vittorio Pozzo è tra i primi ad accorrere e spetta a lui, tra commozione e mancamenti, riconoscere i corpi di quelli che, nella maggior parte dei casi, erano stati i suoi ragazzi. In base alle ricostruzioni successive è stato possibile stabilire che il pilota, in fase di atterraggio, credeva di avere Superga alla sua destra. Invece, complice una visibilità non superiore ai 40 metri, si è visto sbucare la collina davanti, all’improvviso, mentre procedeva ad una velocità di 180 chilometri orari. A quel punto non c’era più niente da fare.
Una leggenda diventata immortale
Al di là di cosa non funzionò quel giorno e al di là della dinamica dell’incidente, comunque legata alle pessime condizioni del tempo, resta lo sgomento di un’intera città e di un intero Paese, per una strage che pose fine alle vite di 31 persone e che dissolse sul più bello una grande leggenda sportiva. Il giorno dei funerali quasi un milione di persone si radunarono in piazza San Carlo per dare l’ultimo saluto alla squadra.
La tragedia ebbe una grande risonanza sulla stampa mondiale e l’impressione fu tale che l’anno seguente la nazionale italiana scelse di recarsi in Brasile, per disputare i mondiali, affrontando un viaggio in nave che durò tre settimane. Nelle ultime quattro partite il Torino fu costretto a schierare la formazione giovanile e gli avversari di turno decisero di fare lo stesso. Al termine della stagione alla società granata venne assegnata la vittoria del campionato a tavolino. A macchia di leopardo, un po’ in tutta Italia, furono intitolati stadi e impianti sportivi ai campioni del Grande Torino. Nel capoluogo piemontese, ogni anno, continuano a tenersi cerimonie molto partecipate. A Grugliasco, nei dintorni della città della Mole, sorge il “Museo del Grande Torino e della leggenda granata”, che raccoglie reperti e cimeli, compresi alcuni resti del velivolo e i bagagli di vari giocatori. Lo scorso anno, in ricordo della tragedia, la Fifa ha proclamato il 4 maggio “giornata mondiale del gioco del calcio”.