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Home > La televisione degli emigrati

La televisione degli emigrati

14 de abril de 2015 - Por Comunità Italiana
La televisione degli emigrati

EzioMaranesiRAI Italia potrebbe spendere meno e darci un servizio migliore

Francesi, tedeschi, spagnoli, persino i coreani, avevano la loro televisione. Noi italiani, i più numerosi tra gli emigrati, eravamo gli unici figli di nessuno. C’erano però delle elezioni all’orizzonte e l’Italia della liretta, ricca di debiti, di inflazione e di intrallazzi, si ricordò di noi emigrati che avevamo recentemente ottenuto il diritto di votare. I partiti volevano i nostri voti. La RAI di stato inviò emissari per il mondo per sapere che cosa noi volessimo vedere. In un incontro alla Camera di Commercio di San Paolo i presenti espressero i loro desiderata: alcuni ovvi, altri arguti, bizzarri, idioti o curiosi. Non credo che la RAI ne abbia tenuto in gran conto; i palinsesti erano già pronti, e l’Italia finalmente entrò nelle nostre case. Non ci offendemmo del fatto che le nostre idee non fossero state accolte; già sentire la nostra dolce parlata appagava la nostra fame di italianità. Ma il tempo passa, le mamme imbiancano, i programmi TV invecchiano e invecchiamo anche noi, diventando giustamente più esigenti. E ci ritroviamo con i programmi che RAI Italia oggi ci infligge. Non sono un critico televisivo; sono un cittadino normale che guarda la TV qualche ora al giorno e trovo che la nostra TV sia, troppo spesso, una noia mortale. Mi rendo anche conto, naturalmente, che ognuno ha i suoi gusti e non deve essere facile sfornare programmi che interessino a tutti. Resta, per i miei gusti, la noia mortale. Ma vediamo.
Le grandi serate. Che si balli o si canti, in pista o sul ghiaccio, con o senza stelle, bambini o guitti, la ricetta è sempre la stessa: una giuria di personaggi più o meno noti e giovani (come la Carrà) che si suppone debbano divertire, chiamata a giudicare noti o sconosciuti che si esibiscono in prestazioni penose. La lagna dura ore e ore; non resta che cambiare canale.
I film. Dove la RAI prenda i film è un mistero. Probabilmente in un negozio di ferrivecchi dove si trovano quegli oggetti che nessuno vuole vedere in casa. La RAI li trova e ce li impone. Ci si rende conto che ragioni di mercato non permettono di mostrare al mondo le ultime opere, ma certamene non mancherebbero botteghe dove trovare qualche pellicola interessante, magari anche vecchia. Il mercoledì sera, la sera dei film, non è necessario cambiare canale: siamo già su un altro canale.
I talk show. Potrebbero essere un buon veicolo per ascoltare cose intelligenti. Ma l’audience ha le sue esigenze, e allora ci vuole la rissa. Il pubblico vorrebbe il sangue: non si arriva a tanto, ma il litigio e l’offesa sono la prassi. I galli da combattimento sono sempre gli stessi; ormai li consciamo benissimo. Alcuni esagerano; Sgarbi non lo chiamano neanche più. I temi sono trattati con leggerezza, le interviste sono faziose e il coro stonato dei galli, che cantano tutti insieme, impedisce di farci una idea del problema. Cerchiamo allora qualche vecchio film di cow boys.
I giochini. Sciocchini, innocui. Ma piacciono immensamente al grande pubblico. Non fanno male; fanno solo riflettere sul mondo che ci circonda. Possiamo continuare a fare la nostra salsa di pomodoro, mentre Insinna sbircia dentro i pacchi sorridendo alla luna.
Le interviste. Lo scrittore, il regista o l’attore intervistati sono gente che non conosciamo; ci parlano di libri che non leggeremo mai o di film che mai vedremo. A chi interessano questi inutili tentativi di stimolare la nostra cultura? Via, e di corsa.
I programmi per gli emigrati. Raccontano dell’emigrato che vende la pizza al trancio ad Auckland o il gelato artigianale a Reykjavik. A chi interessa? Meglio un documentario sui leoncini africani.
Il resto. Sorvoliamo, per ragioni di spazio, sulle chilometriche novelas, sugli incomprensibili doc!doc!, sull’umorismo di pessimo gusto di Made in Sud, sulle ricette di Antonella ecc. : ciascuno la pensi come crede. Ci sono molti canali a disposizione.
Pesa una grande stanchezza sui programmi RAI. Così come nei costumi e nella politica, l’Italia conservatrice si difende. È certamente difficile innovare, ma non è con Ballarò, con Ballando o con Community che si innova. Non mi sento di dare ricette; non è il mio campo e ognuno ha i suoi gusti. Vorrei soltanto che si parlasse in modo approfondito dei problemi italiani, ascoltando le varie campane, si parlasse di più delle cose belle che ha l’Italia, si migliorasse la cronaca. La RAI spenderebbe molto meno e ci darebbe un servizio migliore.iti gli ingiusti privilegi e la corruzione.

Comunità Italiana

A revista ComunitàItaliana é a mídia nascida em março de 1994 como ligação entre Itália e Brasil.