{mosimage}Risorgerà dalle ceneri di una crisi economica devastante il carattere tradizionalmente ottimista e cordiale degli italiani?
Parallelismi e analogie van-no sempre “maneggiati con cura”, come ordigni ed esplosivi. Sono infatti parenti stretti, nella retorica e nella letteratura, degli stereotipi e dei luoghi comuni: il rischio, cioè, è sempre quello di banalizzare e semplificare argomenti seri che meritano una riflessione approfondita e non una mera comparazione meccanica, ossia forzata e antistorica.
Eppure in alcuni casi ritengo utile rischiare e venire meno a questo giusto accorgimento; a volte il parallelismo aiuta a comprendere e spiegare meglio una determinata realtà, collegandola idealmente ad un’altra, che chi ci ascolta o legge conosce bene, per aiutarlo a decifrare meglio una determinata realtà.
Chiedendo scusa per questo lungo prologo, entro direttamente nell’argomento che vorrei affrontare questo mese: esiste un’analogia tra il periodo di crescita del Brasile di questi anni e il “boom economico” dell’Italia degli anni ’60?
Avendo vissuto entrambi i periodi ho potuto notare parecchie similitudini, anche se in contesti radicalmente diversi dal punto di vista storico e culturale, oltre che sociale ed economico.
La principale delle analogie mi sembra possa essere quella della fortissima espansione dei consumi interni, uno dei fattori principali dell’accelerato sviluppo dell’Italia degli anni ’60 e del Brasile di oggi.
Grazie alla corsa ai beni di consumo di massa l’industria automobilistica italiana, ma anche la cosiddetta “linea bianca” (quella degli elettrodomestici, per capirsi), trainarono un’economia che da poco meno di un ventennio si era risollevata dal disticamente, gli italiani… A sastro della seconda Esiste parlare in maniera chiara guerra mondiale e che e netta sono i dati macronel giro di pochi anni un’analogia economici, anche se a me avrebbe fatto diven-tra il periodo sono sempre interessati tare l’Italia una delle di più i comportamenti sette potenze del pia-di crescita del sociali e quindi collettivi. neta. Tali atteggiamenti sono Brasile di questi L’ottimismo regna-insieme causa ed effetto va indiscusso sull’Italia anni e il boom delle performance econoe sugli italiani: chi in miche; una propensione quegli anni metteva su economico positiva al consumo è infamiglia (come i miei fatti causa della crescita dell’Italia degli genitori) sapeva che i economica, ma allo stesso propri figli avrebbero anni ’60? tempo frutto di un clima positivo a sua volta causato dai buoni risultati dello sviluppo di un Paese.
In politica una discussione simile avviene quando si discute sull’esigenza – attualissima in Italia, ma non solo – di diminuire la spesa pubblica e contenere al massimo il deficit di bilancio, senza che queste scelte interferiscano negativamente sulla crescita economica; non sempre goduto di una prosperità e di un livello di benessere superiore al loro e questo clima generale di positività rafforzava e rendeva stabile e vigorosa la crescita del Paese.
Anche la politica ne risentiva e fu così che, sempre alla fine degli anni’60, iniziò una stagione di riforme positive che avrebbe segnato per sempre anche la crescita sociale e politica del Paese.
Pure questo secondo aspetto, l’ottimismo e la visione positiva del futuro, collegano idealmente l’Italia di allora al Brasile di oggi; un sondaggio parallelo condotto tra famiglie brasiliane e italiane (e in contemporanea in altre parti del mondo) dimostra una differenza radicale e speculare legata proprio all’atteggiamento rispetto al futuro: ottimisti, ovviamente, i brasiliani; pessimisti, realiinfatti ai dovuti “tagli alla spesa” corrisponde un rilancio dell’economia, anzi spesso accade esattamente il contrario, soprattutto in assenza di una parallela azione di sostegno alle imprese e alle famiglie (cioè ai veri produttori di reddito e quindi di consumo e sviluppo).
Un’ultima osservazione sui comportamenti, ossia sul carattere. Quello degli italiani, anche a causa della crisi, continua a cambiare radicalmente, e perlopiù in negativo. Ne sanno qualcosa i nostri emigrati all’estero che lasciarono il Paese sessanta o settanta anni fa (o i nipoti di chi lo lasciò all’inizio del secolo scorso): il tradizionale sorriso, la spensieratezza perenne, l’ironia costante e la cordiale e disinteressata accoglienza e simpatia degli italiani sono sempre meno tratti distintivi ed evidenti di questo popolo, lasciando il passo ad un atteggiamento a prima vista più nevrotico e distaccato, stressato e distratto. Chi non si è lasciato spaventare da questa apparente rivoluzione genetica degli italiani, ed ha scavato a fondo del vero carattere dei loro parenti o antenati, ha poi scoperto che questa mutazione è più superficiale di quanto appaia, e che sotto quella dura crosta si cela ancora lo spirito forte e buono della ‘brava gens italica’. Uno spirito un po’ indebolito e forse frustrato, è vero, ma sempre pronto a risorgere dalle ceneri come l’Araba Fenice!