Secondo gli inquirenti di Roma che indagano sul sequestro, i tecnici italiani potrebbero essere stati traditi da loro autista libico. L’ex ostaggio ha raccontato com’e’ riuscito a fuggire, assieme al collega Gino Pollicardo: “Ho lavorato molto su quella porta dietro la quale eravamo rinchiusi. Con un chiodo ho capito che si poteva fare molto. Ho lavorato sulla serratura, un legno duro, ma con la caparbia ho indebolito la parte. Poi ho chiamato Gino: ‘Forza, se dai due colpi siamo fuori’, gli dicevo. E cosi’ e’ stato. Dopo avere superato la prima porta, pensavamo che c’era la porta esterna, ma si e’ aperta facilmente. Ci siamo camuffati perche’ avevamo paura che qualche altro gruppo ci prendesse e una volta fuori cercavamo la polizia che pensavamo fosse l’unica a poterci aiutarci. Il buon Dio ci ha messo sulla strada giusta. Poi sono tornato indietro con la polizia per il riconoscimento della casa”.
Sull’identita’ dei suoi aguzzini, Calcagno non e’ stato in grado di fornire particolari: “Non so se eravamo in mano all’Isis o a delinquenti, ma certamente eravamo tenuti da criminali. C’erano delle donne e un bambino… una famiglia di delinquenti”. Calcagno e la moglie, Maria Concetta Arena, hanno poi detto di voler incontrare la vedova di Salvatore Failla, che vive a Carlentini (Siracusa). “Stiamo lavorando – ha detto il ministro del Esteri, Paolo Gentiloni – affinche’ le salme dei due nostri connazionali rientrino in Italia il piu’ presto possibile. Se possibile entro e non oltre la giornata di domani”. Da parte sua il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, ha sottolineato: “Non ci dobbiamo stancare di cercare il filo che ci puo’ portare alla ricostruzione dei fatti. La magistratura ha gli strumenti e la cultura per poter fare questo tipo di indagini”. Intanto, il presidente del Copasir, Giacomo Stucchi, fa sapere che il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica ha intenzione di convocare nelle prossime settimane il presidente del Consiglio, Matteo Renzi. (AGI)