Comunità Italiana

Mori: «Non ci fu nessuna trattativa Stato-mafia»

Il prefetto ammette di aver incontrato più volte l'ex sindaco mafioso di Palermo, Vito Ciancimino

 

PALERMO – Non ci fu nessuna trattativa tra la mafia e lo Stato. Lo ha detto il prefetto Mario Mori, ex comandante del Ros dei carabinieri, che ha reso dichiarazioni spontanee davanti al Tribunale di Palermo nel processo in cui è imputato di favoreggiamento aggravato di Cosa Nostra, assieme al colonnello Mauro Obinu, per la mancata cattura del boss Bernardo Provenzano nel 1995.

GLI INCONTRI – Mori ha spiegato di aver incontrato più volte l'ex sindaco mafioso di Palermo, Vito Ciancimino, ma ha negato che vi sia stata una trattativa sul cosiddetto «papello», le richieste dei boss allo Stato, messe nero su bianco da Totò Riina. «Incontrai più volte Vito Ciancimino e cercai più volte contatti con la commissione Antimafia senza che avessi obbligo di farlo. Proprio gli incontri con Vito Ciancimino furono la prova che una trattativa con Cosa Nostra non ci fu», ha affermato Mori, e ha aggiunto: «Ogni trattativa del genere e questa in particolare che implicava una resa vergognosa dello stato a una banda di criminali assassini sarebbe stata impensabile». L'ex comandante del Ros ed ex capo del Sisde ha parlato a lungo davanti al Tribunale, per rivendicare la correttezza del suo operato.

VIOLANTE – Mori ha preso la parola dopo la deposizione dell'ex presidente della Camera ed ex presidente della commissione parlamentare Antimafia, Luciano Violante, sentito dai giudici proprio sui contatti che ebbe all'epoca con Mori. L'allora alto ufficiale dei carabinieri aveva informato Violante dell'intenzione di Vito Ciancimino di avere un incontro con la commissione Antimafia. Circostanze che Violante ha sostanzialmente confermato. «Violante ricorda seppur lacunosamente, ma conferma quanto ho detto io. Il mio comportamento fu improntato alla massima trasparenza», ha affermato Mori. Dopo il primo incontro, durante il quale Mori gli disse della volontà di Vito Ciancimino, l'ex sindaco mafioso di Palermo, di avere un colloquio, «al secondo appuntamento – ha riferito Violante – il generale Mori (allora vicecomandante del Ros, ndr) mi portò il libro di Vito Ciancimino sulle mafie che io lessi, giudicandolo mediocre e che presi solo come una sorta di segno di disponibilità dell'ex sindaco». Infine, il terzo incontro in cui Violante ribadisce di non avere alcuna intenzione di sostenere colloqui riservati con l'ex sindaco di Palermo. «La chiave che detti alla richiesta di incontro – ha spiegato Violante – fu che visto il momento, era stato appena ucciso Lima, Ciancimino volesse parlare dei rapporti tra andreottiani e mafia o della vicenda relativa alla confisca dei suoi beni che pendeva in appello davanti all'autorità giudiziaria di Palermo». Violante ha poi riferito di avere chiesto a Mori se la procura del capoluogo siciliano fosse stata informata della richiesta di colloquio fatta da Ciancimino «e lui mi rispose di no, perché si trattava di affari politici». Il 29 ottobre, dopo i tre incontri con Mori, Violante informa l'ufficio di presidenza della commissione Antimafia che si sarebbe potuto ascoltare l'ex sindaco perchèé aveva ritrattato le condizioni che aveva posto all'ex presidente della commissione Chiaromonte di essere ripreso, durante l'audizione, dalle televisioni. «L'audizione – ha aggiunto Violante – non si fece perché Ciancimino venne arrestato».

GIOVANNI CIANCIMINO – Poi è stata la volta di Giovanni Ciancimino, figlio dell'ex sindaco mafioso di Palermo, Vito. «Venti giorni dopo la morte di Falcone, che per me fu scioccante, andai a trovare mio padre. Mi disse "questa mattanza deve finire". Sono stato contattato da personaggi altolocati per parlare con l'altra sponda. Io sapevo a cosa si riferiva con l'espressione "l'altra sponda": si riferiva alla mafia, parola che davanti a me non pronunciava mai». Giovanni Ciancimino, fratello di Massimo, è un avvocato ed è stato anch'egli sentito dai giudici: «Io restai scioccato, basito e litigammo», ha aggiunto collocando l'episodio tra l'eccidio di Falcone e quello di Borsellino. «Dopo la strage di via d'Amelio – ha continuato – mio padre mi chiamò e mi propose di fare una passeggiata. In auto mi disse, "tu che sei avvocato, cosa è la revisione del processo". Io glielo spiegai. A quel punto aggiunse: "Allora si può fare la revisione del maxi processo!"». Ciancimino ha aggiunto che il padre durante il colloquio tirò fuori dalla tasca un pezzo di carta arrotolato. Secondo i magistrati si sarebbe trattato del cosiddetto papello con le richieste della mafia allo Stato.

Fonte: www.corriere.it