Colto da malore dopo la lettura, commenta: «Mi chiedo perché devo essere la vittima». Solidarietà in aula
ROMA – Raniero Busco condannato a 24 anni: questa nell'aula bunker di Rebibbia la sentenza sul delitto di via Poma. Un omicidio di più di vent'anni fa per il quale unico imputato è Raniero Busco, fidanzato di Simonetta Cesaroni all'epoca in cui venne uccisa con 29 colpi di tagliacarte, il 7 agosto 1990, in quel condominio e in quella strada divenute tristemente note. «Mi chiedo perché devo essere la vittima. Trovo tutto questo profondamente ingiusto», ha commentato Raniero Busco, parlando con il suo difensore, Paolo Loria, pochi minuti dopo aver abbandonato l'aula bunker di Rebibbia. «Dire che sono deluso – ha aggiunto – è poco. Davvero non me l'aspettavo una sentenza del genere».
LA SENTENZA – Il verdetto di 24 anni di carcere è stato emesso dalla III Corte d'Assise presieduta da Evelina Canale, giudice a latere Paolo Colella, oltre ai sei giudici popolari. La corte d'assise ha riconosciuto l'aggravante della crudeltà compensandolo, però, con le attenuanti generiche. La Corte presieduta da Evelina Canale ha disposto che Busco risarcisca le parti civili in separata sede assegnando una provvisionale immediatamente esecutiva di 100 mila euro per la sorella di Simonetta e 50 mila per la madre. Nessuna provvisionale per il Comune di Roma. Questo il dispositivo della sentenza: «La terza corte d'assise di Roma, visti gli articoli 533 e 535 del codice di procedura penale, condanna Raniero Busco alla pena di 24 anni di reclusione e al pagamento delle spese processuali. Dichiara il predetto interdetto in perpetuo e per la durata della pena dai pubblici uffici con sospensione dell'esercizio della potestà genitoriale. Condanna Busco al risarcimento del danno delle parti civili Paola Cesaroni, Anna Di Giambattista e il Comune di Roma da liquidarsi in separata sede».
MALORE – Al momento della sentenza Busco era in aula assieme alla moglie, alla madre e a uno dei fratelli. Alla lettura della sentenza della terza Corte d'assise di Roma, Raniero Busco, condannato a 24 anni di reclusione, ha accusato un malore ed è stato accompagnato fuori dall'aula stretto tra la moglie e il fratello e una calca di giornalisti. Busco non ha voluto rilasciare alcun commento. Il fratello che ha ascoltato la sentenza accanto a lui ha urlato «ma che state a dì». Fra il pubblico in aula si sono alzati numerosi «no» in solidarietà con l'imputato.
LE PARTI – Mercoledì mattina era stato il momento delle repliche. Il pubblico ministero Ilaria Calò, che per Raniero Busco ha chiesto l'ergastolo, ha ribadito le accuse punto per punto: carattere dell'imputato, dna, dentatura, alibi e conservazione dei reperti. Federica Molinari e Massimo Lauro, legali di parte civile della sorella della vittima, hanno incentrato le loro repliche sulla personalità di Raniero Busco che «in tutti questi anni non si è mai fatto vivo con la famiglia e al funerale di Simonetta non si è neanche avvicinato per le condoglianze». Poi è stata la volta di Lucio Molinaro, legale di parte civile della madre di Simonetta. Il penalista ha detto: «Noi non cerchiamo il capro espiatorio, ma solo la verità». L'ultima replica è toccato al legale di Busco, Paolo Loria che ha ribadito i suoi dubbi sul morso, sui reperti, soprattutto sulla loro conservazione e sull'alibi del suo assistito. Raniero Busco è stato iscritto nel registro degli indagati nel settembre del 2007 con l'accusa di omicidio volontario. Il 9 novembre 2009 poi il rinvio a giudizio disposto dal gup Maddalena Cipriani e l'inizio del processo il 3 febbraio successivo.
IL COMMENTO DEL LEGALE DI BUSCO – «L'elemento che più ha pesato, potrebbe essere stato il morso». Così Paolo Loria, legale di Raniero Busco condannato a 24 anni per l'omicidio di Simonetta Cesaroni uccisa con 29 coltellate in via Poma il 7 agosto del 1990.
LA FAMIGLIA DI SIMONETTA – «Abbiamo sempre avuto fiducia nella giustizia e nel lavoro dei pubblici ministeri. Dal momento in cui ci sonmo state presentate le prove siamo state convinte della colpevolezza di Raniero Busco». Così Anna Di Giambattista, madre di Simonetta Cesaroni e Paola, la sorella, attraverso il loro legale l'avvocato Federica Mondani.
LA VEDOVA VANACORE – «Vivremo sempre nel dolore». Giuseppa De Luca, moglie di Pietrino Vanacore, il portiere di via Poma quando Simonetta Cesaroni venne assassinata, suicidatosi lo scorso marzo, commenta con queste poche parole la condanna di Busco. «Viviamo in un grande dolore. Soltanto noi sappiamo quello che abbiamo passato e non si cancellerà mai».