Durissima replica del presidente della Camera al Cavaliere: "Non darò le dimissioni, il presidente non deve certo garantire la maggioranza che lo ha eletto. Sostenerlo dimostra una logica aziendale". "Sosterremo l'esecutivo, ma non le leggi non pensate per l'interesse generale". "Io difendo la legalità. Si confonde il garantismo con l'impunità"
ROMA – Contano le parole, ma anche i volti. A partire da quello teso ma determinato di Gianfranco Fini, che in una pagina e mezzo di dichiarazione dichiara finita l'alleanza (ormai logora) con il premier. Quel presidente del Consiglio che ha una "una logica aziendale" e che confonde "garantismo e impunità". Fini punta sui due temi già espressi più volte. Quelli che fanno infuriare il Cavaliere, che vorrebbe che Fini lasciasse la presidenza di Montecitorio. Non accadrà, taglia corto l'ex leader di An. E da oggi il governo dovrà fare i conti con il nuovo gruppo dei finiani alla Camera. 1
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Dopo le parole di ieri Berlusconi 4, Fini chiama la stampa in un albergo nel centro di Roma. La sala ci mette poco a riempirsi. I fedelissimi del presidente alla Camera arrivano alla spicciolata. Colpiscono i volti sorridenti, quasi euforici, della pattuglia dei "ribelli" finiani. Vicini l'uno all'altro. A darsi di gomito, a sorridersi, a far vedere a tutti che non si sentono soli e neanche pensano di esserlo. Ci sono quasi tutti. Da Bocchino a Granata, a Briguglio: i tre finiti nel mirino dei probiviri del Pdl. C'è il direttore del Secolo Flavia Perina, c'è Urso, la Germontani. Ed ancora Menia, Della Vedova, Selva. Assenti Non si sono visti alcuni parlamentari considerati in dubbio come Mario Baldassarre, Andrea Augello e Pasquale Viespoli. Il più scatenato è Barbareschi che, telefonino in mano, filma la scena. Arriva anche Ronchi, l'unico rappresentate dei finiani al governo. E sono ancora saluti e sorrisi. Perché la sensazione è che questo momento lo stessero aspettando da tempo. Che di quella convivenza forzata dentro il Pdl ne avessero piene le tasche. E che attendessero solo la mossa di Berlusconi. Adesso che il Cavaliere li ha cacciati, possono dare sfogo a tutto il loro sollievo.
Berlusconi li definisce "quattro gatti". In molti, nella maggioranza, ne minimizzano il peso. Ma i primi numeri raccontano un'altra storia. Cifre alla mano alla Camera i finiani sono 33, al Senato 14. Ovvero due spine nel fianco per il Cavaliere, capaci di pungere e fare male ad ogni seduta parlamentare.
L'ex leader di An ha il volto duro. Si siede e stende sul tavolo il foglio in cui ha vergato una dichiarazione che è una vera e propria risposta a muso duro a Berlusconi. E' finito il tempo delle mediazioni, e anche quello delle ricuciture.
Il Pdl, così come era nato, non esiste più. Le parole di Fini lo certificano definitivamente. "Ieri è stata scritta una brutta pagina per il centrodestra e più in generale per la politica italiana. In due ore, senza la possibilità di esprimere le mie ragioni, sono stato di fatto espulso dal partito che ho contribuito a fondare" attacca il presidente della Camera. E' frontale l'affondo contro il premier che, dopo averlo espulso, gli chiede di lasciare lo scranno più alto di Montecitorio. Fini non ci pensa affatto: "Non darò le dimissioni, il presidente non deve certo garantire la maggioranza che lo ha eletto. Sostenerlo dimostra una logica aziendale, modello amministratore delegato-consiglio d'amministrazione, che di certo non ha nulla a che vedere con le nostre istituzioni".
Continuerà a dirigere i lavori della Camera, dunque. E si troverà davanti un nuovo gruppo. Quel "Futuro e Libertà" che si è costituito. Fini resterà al suo posto perché, dice di avvertire il dovere "di onorare il patto con quei milioni di elettori del Pdl onesti, grati alla magistratura e alle forze dell'ordine, che non capiscono perchè nel nostro partito il garantismo, principio sacrosanto, significhi troppo spesso pretesa di impunità".
Legalità, giustizia sociale, amore di Patria. Eccole le linee giuda dei finiani. Che, se da un lato riaffermano la loro fedeltà al programma, mandano a Berlusconi un messaggio che non può non inquietare il Cavaliere: "Sosterremo il governo ogni qual volta agirà davvero nel solco del programma elettorale e non esiteremo a contrastare scelte dell'esecutivo ritenute ingiuste o lesive dell'interesse generale 5". Ovvero, come sintetizza Granata, "mani libere su quello che non condividiamo". Visti i numeri alla Camera si capisce perché il Cavaliere sia tentato di rovesciare il tavolo e tornare al voto.
Fonte: www.repubblica.it