Comunità Italiana

Perché la Chiesa che negò i funerali a Welby li ha concessi a Dj Fabo

La lotta ingaggiata da Papa Francesco contro le “dogane pastorali” saluta una significativa vittoria: le porte della chiesa che a Roma nel 1997 restarono chiuse per Welby si aprono ora a Milano per Dj Fabo. “Sono felice. C’è stato sicuramente un cambiamento nella Chiesa dalla vicenda di mio marito, dieci anni fa, a quella di Fabo. Anche grazie a Papa Francesco: credo che il suo Giubileo della misericordia abbia avuto un grande effetto sui cuori di tanti, anche all’interno della gerarchia ecclesiastica”, dice Mina Welby, moglie di Piergiorgio che soffriva di una terribile malattia degenerativa: la “distrofia muscolare progressiva”. “Per mio marito, ricorda Mina, le cose andarono diversamente: la chiesa era chiusa, la gerarchia scelse così. Ma anche allora molti preti erano dalla nostra parte, e avevano deplorato questa scelta. C’erano con noi anche suore, esponenti di altre confessioni… Non tutti i religiosi erano d’accordo, molti volevano entrare e celebrare una funzione per Piergiorgio”.

Cosa c’è di diverso tra Welby e Fabo
In realtà i due casi non sono sovrapponibili perché la morte di Welby avvenne in casa sua a Roma con il distacco del respiratore e una semplice sedazione, quindi non ci fu suicidio assistito ma al limite eutanasia passiva, tanto che il medico non fu processato. Mentre Dj Fabo si è fatto portare in Svizzera proprio perché la legge italiana avrebbe perseguito qualunque sanitario lo avesse aiutato. E in Svizzera Dj Fabo, come ha raccontato Marco Cappato che lo accompagnava, “ha morso un pulsante per attivare l’immissione del farmaco letale: era molto in ansia perché temeva, non vedendo il pulsante essendo cieco, di non riuscirci”.

In ogni caso questa differenza di azione avrebbe dovuto “favorire” Welby nella considerazione della Chiesa, mentre è accaduto esattamente l’opposto. Dunque non c’è dubbio che con l’elezione di Papa Francesco e il suo insistere sulla Misericordia un “salto” c’è stato. Anche se si tratta in realtà di una lettura diversa della stessa dottrina.

Il suicidio per la Chiesa Cattolica
Per la Chiesa Cattolica il suicidio “è contrario all’amore del Dio vivente” e rappresenta “un’offesa all’amore del prossimo, perché spezza ingiustamente i legami di solidarietà con la società familiare, nazionale e umana, nei confronti delle quali abbiamo degli obblighi”. “Se è commesso con l’intenzione che serva da esempio, soprattutto per i giovani, il suicidio – aggiunge – si carica anche della gravità dello scandalo”. Inoltre, “la cooperazione volontaria al suicidio è contraria alla legge morale”, come si legge nel Catechismo della Chiesa Cattolica, datato 1992 e ancora pienamente in vigore. Che però qualche rigo più avanti aggiunge: “gravi disturbi psichici, l’angoscia o il timore grave della prova, della sofferenza o della tortura possono attenuare la responsabilità del suicida”.

Mentre il Codice di Diritto Canonico proibisce il funerale dei sucidi ma poi lascia al parroco la possibilità di concederlo in accordo con il vescovo locale, se ritiene che ricorrano le condizioni citate come attenuanti dal Catechismo. In sostanza, sulla scorta di una più moderna visione delle malattie psichiatriche e in particolare della depressione (della quale il suicidio è purtroppo un esito), la Chiesa, per l’estremo saluto, apre le porte ormai quasi sempre a questi suoi figli sfortunati.

Fermo restando che “la vita non è un bene disponibile”, come afferma anche Hamza Piccardo, promotore della Consulta Islamica in Italia.

La Carta degli Operatori Sanitari
Da registrare anche un cambiamento nella Carta degli Operatori Sanitari, documento voluto da San Giovanni Paolo II e aggiornato da Papa Francesco. Il nuovo testo afferma che “deve essere sempre rispettata la ragionevole volontà e gli interessi legittimi del paziente, ma il medico non è comunque un mero esecutore, conservando egli il diritto e il dovere di sottrarsi a volontà discordi dalla propria coscienza” mentre “nutrizione e idratazione, anche artificialmente somministrate” vanno “considerate tra le cure di base dovute al morente, quando non risultino troppo gravose o di alcun beneficio. La loro sospensione non giustificata può avere il significato di un vero e proprio atto eutanasico”. Ma, ed è qui il cambiamento epocale, prolungare idratazione e nutrizione è obbligatorio “nella misura in cui e fino a quando dimostra di raggiungere la sua finalità propria, che consiste nel procurare l’idratazione e il nutrimento del paziente”. Infine viene confermata la eticità della sedazione palliativa profonda “nelle fasi prossime al momento della morte, attuata secondo corretti protocolli etici e sottoposta ad un continuo monitoraggio”. Ma su questo si era pronunciato in senso positivo già Pio XII.(AGI)