A novembre violenti nubifragi alternati ad autentiche inondazioni hanno flagellato gran parte dell’Italia. Ad essere messi in ginocchio, stavolta, non sono stati solo paesini sperduti nelle pianure del nord, adagiati in fondo a una valle o arroccati sul fianco di un rilievo: ad arrendersi alla natura, una più una meno, sono state anche città come Genova e Napoli.
Attribuire esclusivamente alla natura la colpa di quanto accaduto è però riduttivo. Più corretto sarebbe dire che gli amministratori non hanno saputo arginare certe sue manifestazioni, peraltro spesso indotte dallo sfruttamento dell'ambiente: basti pensare alla causa di molte frane. Il fenomeno è complesso e il caso del calcio offre al solito validi spunti di riflessione.
Come tutti si aspettavano dopo i danni materiali e addirittura le vittime fatte dall'acqua, Genoa-Inter è stata rinviata. Il giorno dopo, però, a sorpresa è stata la volta anche di Napoli-Juventus. A sorpresa perché in Campania aveva piovuto, ma non tantissimo e per giunta nessun'altra partita nella zona era stata sospesa. A rendere le cose quanto mai fumose la decisione del Prefetto, presa forse legittimamente, ma senza avvertire tutte le parti in causa.
Diffusi sono i dubbi sull’opportunità di rinviare una partita che a qualcuno sarebbe forse convenuto non giocare in quella data. E’ un fatto però che mentre i dirigenti del Calcio Napoli, che è affittuario del San Paolo, non potevano non sapere, né quelli bianconeri né tanto meno la Lega sono stati interpellati dalle autorità partenopee al momento di decidere la sospensione della gara. E se tale risoluzione non è dipesa dall’agibilità dell’impianto, comprovata, quanto piuttosto dall’impraticabilità di vaste zone della città, allora è il momento di adottare una visione unitaria dell’ambiente in cui viviamo – ora da semplici cittadini o lavoratori, ora da appassionati che le strade di sempre possono fare anche per andare allo stadio. A Genova invece nell'imminenza del previsto inizio della gara l'acqua negli spogliatoi di Marassi raggiungeva il metro di altezza, il campo era allagato e gli impianti elettrici a rischio. Per non parlare delle vie di accesso, che sono rimaste impraticabili fino all’ultimo, al punto da costituire una minaccia per l'incolumità di chi le avesse percorse. Esattamente come in numerosi altri frangenti, in troppe altre località che questa volta il maltempo ha risparmiato.
Spesso, da anni a questa parte, si è convenuto sul fatto che il calcio e lo sport in generale sono lo specchio di un Paese. Lo si è detto con riguardo alla violenza, ai costi, alla gestione dei servizi. E oggi ci tocca dirlo senza più alcun dubbio anche rispetto alle strutture e tutto quel che ci gira intorno.
Non si può pensare che solo il calcio inizi ad andar bene in un Paese in cui tutto, oggettivamente, va sempre peggio con l'unica consolazione (che è anche una discreta scappatoia per i responsabili) che le cose precipitano poco alla volta. Si va alla deriva senza scossoni, senza che per molto tempo ce ne si renda conto, e spesso quando lo si capisce ce ne si può giusto fare una ragione perché è troppo tardi. A tal punto siamo stati condizionati…
Lo sport rappresenta uno svago meritato per chiunque desideri goderne e nel panorama sconfortante che ci circonda sarebbe consolante se non altro sapere di potersi divertire. E invece no. Prima la tessera del tifoso, ignobile fandonia data a credere a chi pensa che in assenza della cara vecchia educazione la sicurezza debba passare per la schedatura e che i controlli che da essa dovrebbero derivare siano sempre fatti. Prima ancora il totale disinteresse per l'agio di chi va allo stadio: evidentemente il tifoso sulle gradinate non serve più come prima, perché quanto paga per assistere dal vivo a un incontro non vale quanto ciò che si sborsa per abbonarsi a canali satellitari – che forti del numero di utenti possono lucrare sulla pubblicità. Quindi, ennesima prova dell'incuria generale, la gestione pedestre e approssimativa delle misure atte ad arginare i tanti e diversi problemi di sicurezza che, complice un'urbanistica deficitaria nel suo complesso, fanno un tutt'uno di degrado ambientale e fatiscenza di stadi e palazzetti.
Alla fine lo scempio abbraccia tutto ed è il quadro generale a risultare sconfortante, immeritato. Fruitori o protagonisti che si sia, si prova come minimo irritazione. Sarà per questo che i calciatori migliori prendono altre strade. Strade sicure, che portano dritte a chi sa fare. Altrove.