Comunità Italiana

Punto finale per Priebke

I funerali dell’ex capitano delle Ss che partecipò all’eccidio delle Fosse Ardeatine suscitano l’imbarazzo delle istituzioni italiane e degli scontri in piazza

Alla fine ha trovato pace. Erich Priebke, il boia delle Fosse Ardeatine, responsabile per l’eccidio di 335 civili e militari italiani durante la seconda guerra mondiale, è morto all’età di cento anni. Non si è mai pentito per le azioni che ha compiuto in qualità di capitano delle SS tedesche e si è sempre difeso sostenendo di avere semplicemente eseguito degli ordini. Più ancora delle atrocità, delle morti e del dolore provocato, i discendenti delle vittime, gli appartenenti alla comunità ebraica e più in generale l’opinione pubblica italiana, sono stati colpiti dalla glaciale freddezza di un uomo incapace di chiedere “scusa” e in grado di continuare a condurre, con disarmante normalità, l’esistenza di un anziano qualunque, senza che i crimini commessi rappresentassero il benché minimo peso per la propria coscienza.
Erich Priebke era il principale collaboratore di Herbert Kappler, che durante la guerra comandava la polizia tedesca a Roma e fu organizzatore ed esecutore della strage delle Fosse Ardeatine. Il massacro fu presentato come una rappresaglia per l’attentato che una banda di partigiani romani effettuò a Roma, in via Rasella, provocando la morte di 33 militari appartenenti all’esercito tedesco. Kappler decise che sarebbero state ammazzate 10 persone per ogni soldato morto, ma nella fretta vennero aggiunti altri 5 nominativi all’elenco.
Priebke, assieme al capitano Karl Hass, ricevette l’ordine di selezionare le vittime tra i prigionieri già condannati a morte, che tuttavia non raggiungevano la quota fissata. Per questa ragione vennero scelti altri detenuti, molti dei quali arrestati per motivi politici. Nella lista finirono anche 57 prigionieri ebrei, molti dei quali detenuti nel carcere romano di Regina Coeli. La mattina del 24 marzo del 1944 le vittime furono radunate all’interno delle cave situate nei pressi di via Ardeatina. Priebke ed Hass si accorsero dell’errore numerico, ma decisero di eliminare ugualmente i cinque prigionieri in eccesso, per evitare che la segretezza dell’operazione potesse essere compromessa. I 335 condannati vennero fatti avanzare con le mani legate e furono fucilati uno ad uno, da distanza ravvicinata, per risparmiare tempo e munizioni. Quando il massacro ebbe termine, Priebke ed Hass ordinarono di far saltare l’entrata delle fosse con l’esplosivo, in modo da rendere più difficoltoso l’accesso al luogo della strage e da uccidere con assoluta certezza tutti coloro che fossero sopravvissuti alle fucilazioni.

Mezzo secolo di vita in Argentina sotto falsa identità
Con la fine del conflitto bellico Priebke venne arrestato. Fu sorpreso il 13 maggio del 1945 a Bolzano e rinchiuso nel carcere di Ancona. Venne spostato nel campo di prigionia di Rimini, dal quale riuscì a scappare assieme ad altri quattro commilitoni. Si rifugiò a Vipiteno, in Alto Adige e ricevette il battesimo cattolico dal vicario generale della diocesi di Bressanone, Alois Pompanin, che lo aiutò ad espatriare. Nel 1948 si operò, alterando i propri connotati e si stabilì in Argentina, sotto la falsa identità di Otto Pape, direttore di albergo lettone. Aveva 37 anni ed ebbe la possibilità di condurre una nuova vita — quella stessa possibilità che aveva contribuito a negare alle vittime delle Fosse Ardeatine, tra le quali ragazzini di 14 anni.
In Argentina Priebke aprì un negozio di alimentari e divenne direttore di una scuola. Compì numerosi viaggi, completamente indisturbato, tornando a più riprese sia in Germania che in Italia. Solo nel 1994, grazie ad un’inchiesta della britannica BBC, fu identificato e scovato. Un anno dopo venne estradato in Italia, dove fu sottoposto ad un processo, conclusosi nel 1998 con una condanna all’ergastolo. Pochi mesi più tardi venne scarcerato, in considerazione dell’età avanzata e costretto a scontare gli arresti domiciliari in una residenza romana. Ma la sola presenza nel territorio italiano è stata vissuta come una provocazione dai parenti delle vittime e dalla comunità ebraica.
Durante i suoi spostamenti per Roma, Priebke fu sempre scortato dalle forze dell’ordine, che avevano il compito di scongiurare eventuali aggressioni ed ipotetici propositi di vendetta. Una circostanza che suscitò proteste: le forze dell’ordine, invece di essere impiegate nella repressione di delitti — denunciarono i critici — venivano impiegate per tutelare l’incolumità di un ex criminale nazista.
Il corpo senza vita del boia delle Ardeatine è stato rinvenuto l’11 ottobre scorso, adagiato sul divano della residenza romana di via Cardinal Sanfelice. Il suo legale di fiducia ha rivelato l’esistenza di un’intervista scritta e di un video, diffusi dai media italiani sei giorni dopo la morte dell’ufficiale: in linea con l’atteggiamento tenuto nel corso di tutta la sua esistenza, Priebke rivendica con orgoglio il suo passato, nega l’esistenza dell’Olocausto e afferma che il vero obiettivo dell’attentato di via Rasella fu quello di provocare una rappresaglia tedesca, con la speranza di scatenare una rivolta della popolazione. Punti di vista e sentimenti che, in maniera più o meno latente, erano spesso affiorati quando era ancora in vita, ma che sono stati resi espliciti soltanto dopo la sua morte.
Nelle ore successive alla morte, non si trova una località disposta ad ospitare la celebrazione della messa funebre, non ci sono chiese né sacerdoti intenzionati ad esaudire la richiesta del defunto e nessun Comune accetta di seppellirlo entro i propri confini. Il governo è in grande imbarazzo e dopo quattro giorni di impasse si prova a sbloccare la situazione attraverso un’ordinanza prefettizia: i funerali si terranno il 15 ottobre ad Albano Laziale, alle porte di Roma. La notizia diviene immediatamente di dominio pubblico e dà vita ad una giornata di grande tensione: gli amministratori e la popolazione di Albano Laziale, città medaglia d’oro per la resistenza, si ribellano, un folto gruppo di antifascisti accorre da fuori città per impedire la celebrazione della messa e fanno la loro comparsa anche una trentina di militanti di estrema destra, desiderosi di “onorare” l’ex ufficiale nazista. Il risultato sono scontri in piazza, cariche della polizia e un aggressione fisica ai danni del sacerdote lefevriano.
I funerali vengono annullati e soltanto due giorni dopo si scoprirà che la funzione in realtà è stata celebrata a tarda sera e in forma strettamente privata. Resta da risolvere il problema della sepoltura. Su pressione dell’opinione pubblica si valutano soluzioni estere, ma né la Germania né l’Argentina intendono accogliere la salma. Si esce dallo stallo attraverso un accordo con l’avvocato e i familiari di Priebke: l’ex capitano delle SS sarà seppellito in una località segreta. Solo diversi giorni dopo, grazie ad uno scoop del quotidiano La Repubblica, si apprende che la salma è stata sepolta nel cimitero di un carcere non identificato e che la tomba reca come uniche indicazioni una croce ed un numero. Viene pubblicata anche una fotografia. Una scelta, quella di operare a luci spente e mantenendo un profilo basso, che probabilmente le istituzioni italiane avrebbero dovuto compiere fin dal primo momento.
Si calcola che tra l’8 settembre del 1943 e l’aprile del 1945 le rappresaglie tedesche contro la popolazione italiana abbiano causato la morte di circa 15 mila civili. Inoltre furono uccisi più di 8 mila ebrei italiani e a Roma, proprio Herbet Kappler, l’ideatore dell’eccidio delle Fosse Ardeatine, fu protagonista della razzia del ghetto ebraico, in seguito alla quale furono deportati 1.022 ebrei romani. Il brutale crimine di cui si è reso protagonista l’ufficiale Priebke non sarà mai cancellato dalla storia, che ha già emesso un’inappellabile sentenza di condanna. Il Priebke uomo, invece, quando era in vita, non ha mai fatto i conti con la propria coscienza e non ha mai reso conto a nessuno delle sue azioni. I nostalgici di un regime brutale e spietato, che avrebbero voluto fare della tomba di Priebke un luogo di culto, dovranno farsene una ragione.