Con 700 delegati su mille in Assemblea, quasi tre quarti dell’intero ‘parlamentino’, il segretario del Pd si prepara a guidare il partito nei prossimi quattro anni. Si tratta di numeri che gli permettono di mettere in atto quel ‘progetto per l’Itala’ solo accennato durante il suo intervento sul palco montato sul terrazzo del Nazareno, nella notte delle primarie che lo ha visto trionfare su Andrea Orlando e Michele Emiliano, domenica scorsa. Un progetto di cui Renzi parlerà più diffusamente oggi, durante il suo primo intervento alla nuova Assemblea.
Con la scissione finita l’era degli scontri
A guardare la ripartizione delle correnti dentro la maggioranza, l’impressione è che l’epoca degli scontri sia terminata con la fuoriuscita di Massimo D’Alema e Pierluigi Bersani. Dei 700 delegati della mozione ‘Avanti Insiemè, che ha visto il segretario correre in ticket con Maurizio Martina, 480 sono delegati ‘ultra-renziani’; 85/90 delegati fanno parte di Area Dem, corrente che fa capo al ministro dei Beni Culturali, Dario Franceschini, e dalla quale provengono due pezzi da novanta del partito, come i capigruppo di Camera e Senato, Ettore Rosato e Luigi Zanda. Altri 55/60 delegati sono Giovani Turchi di rito orfiniano, mentre 65 sono i membri dell’Assemblea espressi da Sinistra è Cambiamento, la corrente di Maurizio Martina che, in questo congresso, ha visto alcuni suoi esponenti sostenere la mozione di Andrea Orlando.
Orlando ed Emiliano troppo ‘leggeri’
Ad Andrea Orlando non rimangono che 220 delegati mentre Michele Emiliano si ferma a quota 80. In realtà il governatore della Regione Puglia ha incassato alle primarie il 10,87% dei 1.838.938 votanti. A lui, numeri alla mano, dovrebbe andare circa l’11 per cento dei delegati. Così non è, tuttavia, perchè i seggi vengono ripartiti su base regionale ed Emiliano ha fatto il pieno dei voti in Puglia, andando male nel resto delle regioni. Una volta terminati i posti in Assemblea per quella regione, dunque, il governatore si è dovuto fermare a quota 8,8%.
Un margine di grande sicurezza
Il controllo del ‘parlamentino’ è fondamentale perchè il segretario possa governare il partito senza scossoni ed avvicinarsi alle elezioni senza dover occuparsi di ‘fronti interni’. “D’altra parte”, riferisce un esponente renziano di primo piano, “il segretario ha lavorato fin dall’inizio della sua campagna elettorale nella consapevolezza di poter vincere. Ciò che voleva, però, era vincere bene, con un ampio margine che gli consentisse di governare il partito”. L’Assemblea, infatti, è convocata in via ordinaria almeno una volta ogni sei mesi e in via straordinaria su richiesta di almeno un quinto dei suoi componenti. Tra i suoi poteri c’è anche quello di sfiduciare il segretario con i voto favorevole della maggioranza assoluta dei suoi componenti. E se viene sfiduciato il segretario, si procede ad un nuovo congresso. Controllare saldamente questo organismo, dunque, significa mettersi anche al riparo da fuochi incrociati che possano portare alla sfiducia, ma anche dai tentativi di modificare lo Statuto, ad esempio, su ciò che riguarda l’automatismo della candidatura del segretario alla premiership. (AGI)