Renzi insegue in questo modo il Movimento 5 Stelle che, subito dopo il referendum del 4 dicembre, aveva cominciato a chiedere elezioni immediate “per evitare che scattino i vitalizi”. Ma nel farlo l’ex premier contraddice se stesso, considerato che a fine giugno 2016 aveva dichiarato su Facebook a #Matteorisponde: “i vitalizi li abbiamo già aboliti”.
Insomma, i vitalizi esistono ancora o no?
Dopo la riforma del 2012 non esistono più, per chi diventa parlamentare da quella data in poi, i “vitalizi” ma le “pensioni da parlamentare”. Non si tratta di una differenza solo formale.
La pensione da parlamentare viene infatti calcolata col metodo contributivo, ed è pertanto legata a quanto ha versato l’onorevole in questione durante gli anni del suo mandato, mentre il vitalizio veniva calcolato col metodo retributivo ed era molto più consistente.
Secondo il calcolo fatto dall’Istituto Bruno Leoni prima della riforma, un onorevole che avesse ottenuto il vitalizio, dopo cinque anni di carica, avrebbe ottenuto 3.108 euro lordi al mese una volta compiuti i 65 anni. Cioè, come confermato da l’Espresso, il 25% dell’indennità parlamentare lorda (era 12.434 fino al 2012, poi è scesa a 10.385).
Il calcolo è del 2011, quando erano comunque già passate due riforme: quella del 1997, che imponeva il limite di età di 65 anni per incassare il vitalizio (prima un limite non c’era), e quella del 2007, che ridusse l’importo e raddoppiò il periodo minimo di mandato richiesto per maturare il diritto all’assegno, portandolo da 2 anni e 6 mesi a 5 anni (arrotondato a 4 anni, 6 mesi e 1 giorno). Fino alla riforma del 1997 non c’era alcun requisito di durata della carica.
Deputato a 27 anni, pensionato nel 2051
Dopo le modifiche del 2012, secondo le simulazioni fatte dalla Camera dei Deputati su invito del Fatto Quotidiano, “un deputato eletto nel 2013, quando aveva 27 anni, che cesserà il suo mandato nel 2018 senza essere riconfermato per il secondo, percepirà nel 2051 (a 65 anni) una pensione compresa tra i 900 e i 970 euro al mese”.
Ad oggi insomma, se la legislatura si interrompe più di sei mesi prima della sua scadenza naturale, i parlamentari di prima nomina non conseguiranno la pensione. I loro anni di contributi verrebbero accantonati e, qualora fossero eletti nuovamente, sommati ai precedenti. In caso di mancata elezione, invece, quei soldi gli onorevoli non li vedranno mai più.
Infine, con la pensione da parlamentare – ma questo era vero anche per i vitalizi – c’è una soglia anagrafica da raggiungere per poterla riscuotere: 65 anni, che possono scendere fino a un minimo di 60 per ogni anno extra di servizio oltre ai 5 previsti per il minimo. Un parlamentare che resti in carica per due legislature intere, per esempio, potrebbe appunto chiedere la pensione a 60 anni.
Nell’attuale Parlamento che quadro si viene a creare?
Secondo il calcolo di Openpolis, sono 403 deputati su 630 e 193 senatori su 315 quelli che, non avendo maturato nelle legislature precedenti alla riforma i requisiti per la pensione, rischiano di veder sfumare il loro trattamento pensionistico, se questa legislatura non dovesse tagliare il traguardo dei 4 anni e mezzo il prossimo 15 settembre.
Questa situazione, con addirittura il 64% di parlamentari “nuovi”, nasce sicuramente dall’ingresso del M5S in Parlamento – tutti i suoi parlamentari e senatori sono infatti di prima nomina – e dal robusto rinnovamento nelle proprie fila operato dal Partito Democratico alle elezioni del 2013.
Una legislatura giovane che rischia di ‘bruciare’ i contributi
Due gruppi parlamentari accomunati anche dalla prospettiva di un ulteriore forte rinnovamento nella prossima legislatura, visto che entrambi utilizzano strumenti di democrazia diretta (“parlamentarie” il Pd e voto online sul blog il M5S) e che i democratici hanno nel frattempo cambiato il segretario (nel 2013 c’era ancora Bersani) che decide i posti “blindati” nelle liste elettorali. Questo significa che molti deputati e senatori Pd e M5S non saranno probabilmente rieletti e, se non avranno maturato la pensione da parlamentare a questo giro, i loro contributi rimarranno accantonati e indisponibili in eterno.
Importante ribadire, comunque, che la pensione inizia a essere erogata solo dopo il compimento del 65esimo anno di età. Il che significa che per molti deputati trentenni (il 20% del totale) tale pensione eventualmente arriverebbe tra minimo 25 anni. Non una prospettiva immediata.
Dunque nel complesso l’affermazione di Renzi sembra scorretta, dato che i “vitalizi” in senso stretto sono stati aboliti. Se l’attuale legislatura proseguirà oltre il 15 settembre, deputati e senatori matureranno una pensione, calcolata con metodo contributivo, che potranno riscuotere una volta compiuti 65 anni.(AGI)