Mercoledì 24 agosto. Ore 3.36. Sto dormendo. Mi trovo nella mia abitazione a Pescara e all’improvviso sento un rombo sordo. A quell’ora, mentre la notte va incontro al mattino, la psiche mescola sonno, sogno e realtà: credo di essere in barca, cullato da un mare un po’ troppo agitato. Sono invece al secondo piano di un palazzo su tre livelli e il mio appartamento prima trema e poi dondola spaventosamente per venti o forse trenta lunghissimi secondi. All’improvviso prendo coscienza. “Non è possibile — dico a me stesso con il cuore in gola — è successo di nuovo”. Eh già, perché il terremoto si era già presentato a pochi chilometri da casa mia, il 6 aprile di sei anni fa. Quella volta distrusse L’Aquila, il capoluogo della regione in cui vivo, uccidendo 309 persone. Anche allora arrivò di soppiatto, colpendo vigliaccamente nel cuore della notte, esattamente alle 3.32. Ricordo bene la botta del 2009, che fu più secca e più breve. Quella che ho sentito poco fa, invece, è stata più prolungata, ma anche più sfumata.
Il mio smartphone inizia a vibrare: arrivano i primi messaggi su Whatsapp da parte di amici sconvolti e allarmati. Su Facebook circolano le prime notizie confuse. Non è ancora chiaro quale sia l’epicentro e se ci siano danni. Poi arrivano le drammatiche conferme. “Il paese non esiste più”, dice in diretta alla radio il sindaco di Amatrice, il piccolo centro della provincia di Rieti, che fino al giorno prima era conosciuto nel mondo solo per la succulenta pasta all’amatriciana. I principali network nazionali e internazionali rilanciano le notizie. Il sisma, con un’intensità di magnitudo 6.0, si è abbattuto su una zona interna del centro-Italia, al confine tra Marche, Lazio, Umbria e Abruzzo. Una zona che si trova ad un’ottantina di chilometri in linea d’aria dal posto in cui vivo. La scossa è stata talmente forte da essere avvertita lungo una direttrice che va da Napoli a Bologna. A mano a mano che passano i minuti arrivano altre segnalazioni: sono state colpite diverse località della provincia di Rieti, a partire da Accumoli e le sue 17 frazioni. Distrutte Pescara del Tronto e Arquata del Tronto, in provincia di Ascoli Piceno, nelle Marche. Sono le 4.33 e casa mia trema di nuovo. Questa volta la scossa, di magnitudo 5.4, è più breve e meno intensa. L’epicentro si è spostato tra Norcia, in Umbria e Castelsantangelo sul Nera, nel comprensorio di Macerata, nelle Marche. I primi soccorsi, intanto, hanno già raggiunto alcune delle località devastate. Questa volta, sulla scorta dell’esperienza del sisma aquilano, la macchina organizzativa appare più rodata ed efficiente.
“Sembra um bombardamento”
Alle prime luci del giorno si scava senza sosta, a mani nude, tra le macerie. I soccorritori al lavoro nell’area del cratere sono oltre 6.000 e hanno 1.360 mezzi a disposizione: i vigili del fuoco chiedono di fare silenzio, con la speranza di udire voci e respiri sotto le montagne di calce e mattoni. I media di mezzo mondo accendono i loro riflettori e le operazioni di soccorso vengono trasmesse in diretta televisiva. Il mio smartphone non trova pace: amici, colleghi e conoscenti, da ogni parte del mondo, chiedono se sto bene. Sui luoghi del disastro giungono il presidente del Consiglio Matteo Renzi e il presidente della Camera Laura Boldrini. “Non lasceremo nessuno da solo” — assicura Renzi. “Il lavoro continua e adesso la priorità è scavare”. Attonita la Boldrini, originaria delle Marche: “Qui non c’è più niente, soltanto macerie. È impressionante, sembra un bombardamento”.
Gli italiani nel frattempo si mobilitano: si registrano code negli ospedali, per donare sangue da destinare ai feriti. Partono volontari da tutto il Paese. Si improvvisano centri di raccolta per portare aiuti alimentari e di altro genere agli sfollati. Vengono allestiti oltre 50 campi per dare un tetto e assistenza alle 2.000 persone rimaste senza casa. La terra, intanto, continua a tremare e di tanto in tanto si avverte una nuova scossa. La più forte, di magnitudo 4.9, nel primo pomeriggio del 24 agosto: crollano altri edifici già danneggiati dal sisma. La conta dei morti, inesorabilmente, si allunga di ora in ora: prima 30, poi 80, poi 100, quindi 200 e infine 291. Già, a tre giorni dal terremoto il bilancio ufficiale è di 291 morti e 388 feriti. Tra le vittime anche numerosi turisti, italiani e stranieri, che d’estate affollano quelle zone. Per diversi giorni, inoltre, si continueranno a cercare anche i corpi di una decina di dispersi.
In dieci secondi non è rimasto più niente
Il day after del terremoto è sconvolgente. Lungo ciò che resta delle strade, sguardi spenti, persi nel vuoto, ancora increduli e incapaci di dare un senso a ciò che si è vissuto. Ogni singolo sopravvissuto, in ognuna delle località colpite dal sisma, ha sentito da vicino l’odore della morte e piange almeno un parente o un amico. “Ci siamo svegliati con i mobili che cadevano per terra e i muri che si muovevano di un metro” — riferisce un giovane di Amatrice. “Siamo riusciti a fuggire dalle case in fretta e furia, alcuni di noi erano ancora in mutande, abbiamo acceso un fuoco in piazza e siamo andati a tirare fuori gli anziani dalle abitazioni”. Un suo amico, che non ancora si capacita di avercela fatta, aggiunge: “Sono vivo per miracolo, faccio l’operatore ecologico e mi ero appena alzato dal letto per andare al lavoro. Poi in un attimo è crollato tutto e in dieci secondi non è rimasto più niente”.
Un altro cittadino di Amatrice, più anziano, racconta: “Io e mia moglie siamo stati salvati da una trave. È venuto tutto giù, ma siamo riusciti a scappare fuori. Poi abbiamo camminato nel buio, tenendoci per mano tra le macerie e abbiamo raggiunto l’uscita dal paese”. Una giovane donna, con l’aiuto di amici, ha salvato la vita ai propri genitori. “Li sentivo gridare e chiedere aiuto” — spiega la ragazza. “Mamma e papà erano intrappolati, non riuscivano a liberarsi, ma con un gruppetto di amici sono riuscita a tirarli fuori e ora hanno qualche ferita ma, per fortuna, stanno bene”. Il dolore e lo sgomento lasciano spazio alla gioia solo quando vengono estratti corpi ancora vivi. E per fortuna le storie a lieto fine non sono poche: i soccorritori, tra le macerie, sono riusciti a salvare la vita a 238 persone. È il caso di Giorgia Rinaldo, 4 anni, di Pescara del Tronto: i vigili del fuoco riescono ad individuarla dopo 17 ore di ricerche e la tirano fuori dalle macerie. La piccola è ricoperta di polvere, non piange, è sotto shock ma respira. Ed è l’unica cosa che conta. Per una bimba che ce l’ha fatta, tanti altri piccoli sono deceduti: la sorellina di Giorgia, di 9 anni, era stesa a pochi passi da lei, ma non è sopravvissuta; Marisol, una piccola di appena 18 mesi, è stata sorpresa nel sonno mentre si trovava in vacanza con i genitori ad Arquata del Tronto. La mamma, originaria dell’Aquila, era scampata al terremoto del 2009 ed aveva deciso di trasferirsi in quella zona proprio in seguito alla terribile esperienza di 6 anni prima. Stesso tragico destino anche per due gemellini di 7 anni, Simone e Andrea Serafini, morti ad Amatrice. Ad Accumoli un’intera famiglia è stata cancellata: con l’ausilio dei cani viene recuperato un bimbo di 8 mesi, che respira ma muore durante il trasporto in ambulanza. Poco dopo vengono rinvenuti i corpi dei genitori, abbracciati e senza vita. Infine viene estratto il cadavere dell’altro fratellino di 8 anni.
Renzi promette: gli sfollati fuori dalle tende entro un mese
Per l’Italia, commossa e frastornata, adesso è il tempo della solidarietà e della ricostruzione: i campi per gli sfollati sono stati sommersi di aiuti. Nei primi tre giorni successivi al terremoto, soltanto con la raccolta fondi via sms, sono stati raccolti oltre 6 milioni di euro. Occorreranno somme ingenti per ricostruire interi paesi, nei quali sono crollati palazzi, abitazioni, edifici pubblici e innumerevoli beni culturali. Il governo assicura che si farà presto e bene. Renzi promette: gli sfollati fuori dalle tende entro un mese ed una ricostruzione rapida e intelligente. Una ricostruzione — precisano gli esponenti del governo — che non ricalchi gli errori compiuti a L’Aquila, dove non si è tenuta in sufficiente considerazione la necessità di mantenere vivo ed unito il tessuto connettivo delle comunità locali, finendo per indurre molte persone ad abbandonare il proprio luogo d’origine.
Parallelamente, però, occorrerà iniziare ad interrogarsi anche sulle responsabilità relative ai crolli. Non è possibile accettare, ad esempio, che una scuola elementare ristrutturata soltanto nel 2012, ad Amatrice, si sia sbriciolata come un gigante d’argilla. Sotto indagine l’impresa di costruzione, per i materiali e le tecniche utilizzate, ma dovranno chiarire qualcosa anche gli enti pubblici, in relazione alle procedure di collaudo e alla carenza di controlli.
— Quanto accaduto non può essere considerato solo frutto della fatalità. L’esperienza e la logica ci dicono che ad Amatrice le faglie hanno fatto tragicamente il loro lavoro, e questo si chiama destino, ma se gli edifici fossero stati costruiti come in Giappone non sarebbero crollati — è il commento del procuratore capo di Rieti, Giuseppe Saieva, che ha aperto un’inchiesta per disastro colposo.
Elementi che sembrano delineare un’ipotesi accusatoria decisamente pesante, corroborata anche dai primi sopralluoghi informali effettuati sui luoghi del disastro.
— All’ingresso del paese ho visto una villa schiacciata sotto un’enorme tettoia di cemento armato e poco lontano c’era anche un palazzo di tre piani, che aveva tutti i tramezzi crollati. Devo pensare che sia stato costruito al risparmio, utilizzando più sabbia che cemento, ma sono cose che accerteremo a tempo debito — aggiunge Saieva.
Negli ultimi 50 anni, in Italia, i terremoti hanno causato oltre 10mila vittime
Un’altra inchiesta, sempre per disastro colposo, è stata aperta dalla procura di Ascoli Piceno. Alla magistratura spetterà il compito di verificare se qualcosa poteva essere fatto in modo diverso, per evitare, o quanto meno attenuare, gli effetti della catastrofe dei giorni scorsi. Anche lo Stato, però, deve iniziare ad interrogarsi, perché se è vero che i terremoti non si possono prevedere, è vero anche che è possibile limitarne gli effetti devastanti, attraverso la prevenzione, attraverso interventi contro il dissesto idrogeologico e con una seria politica di messa in sicurezza degli edifici e di dotazione dei più moderni sistemi antisismici. A maggior ragione in una zona ad elevato rischio sismico come quella colpita dal terremoto del 24 agosto. In Italia, invece, nulla o quasi finora è stato fatto. Un immobilismo colpevole, soprattutto alla luce di stime in base alle quali il 40 per cento dei comuni italiani è potenzialmente esposto a pericoli derivanti dai terremoti e il 70 per cento dell’intero patrimonio abitativo ha necessità di essere ristrutturato per ragioni di sicurezza.
Dopo ogni tragedia si discute, si vocifera e si rassicura, ma ogni provvedimento è rimandato alla tragedia successiva. Il risultato è che negli ultimi 50 anni, in Italia, i terremoti hanno causato oltre 10mila vittime: un massacro di massa, che ha fatto più morti del terrorismo nell’Italia degli anni Sessanta e Settanta. Peraltro, se non è più accettabile assistere senza colpo ferire a tragedie collettive di questa portata, ci sarebbe da riflettere anche sotto il profilo economico: uno studio realizzato dal Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Ingegneri calcola che, fino al novembre del 2014, lo Stato ha stanziato più di 120 miliardi di euro per i terremoti verificatisi in Italia negli ultimi 50 anni. Secondo le stime degli ultimi governi, basate sui pareri di alcuni dei massimi esperti in materia, per mettere in sicurezza l’intero territorio nazionale occorrerebbe una cifra che oscilla tra i 25 e i 40 miliardi di euro: nella peggiore delle ipotesi, un terzo di quanto è stato speso nell’ultimo mezzo secolo per ricostruire. Prevenire significherebbe dunque risparmiare e salvare la vita di migliaia di persone. Renzi sembra averlo compreso e ha annunciato un grande piano denominato Casa Italia, “per chiudere con le logiche emergenziali e investire seriamente sulla prevenzione”. Resta ancora da comprendere che tipo di interventi verranno attuati e in che modo saranno reperite le risorse. Quel che è certo è che non si può più attendere il prossimo terremoto.